Contrappunti/ Cinguettii di fondo?

Contrappunti/ Cinguettii di fondo?

di M. Mantellini - I media imbracciano Twitter come uno strumento per seguire le emergenze informative. Ma i flussi di informazione cinguettati spesso rimbalzano e confluiscono nel brusio globale
di M. Mantellini - I media imbracciano Twitter come uno strumento per seguire le emergenze informative. Ma i flussi di informazione cinguettati spesso rimbalzano e confluiscono nel brusio globale

Qualche sera fa le agenzie hanno battuto la notizia di un forte terremoto in Venezuela. Osservare come le notizie si spargono in rete nei primi minuti e nelle prime ore da un evento del genere è sempre interessante. Le informazioni si aggiungono molto lentamente, vengono poi corrette ed aggiornate con maggiore precisione, i grandi siti web informativi iniziano la frenetica corsa a chi aggiorna prima, a chi fornisce nuovi e più precisi particolari.

Da qualche tempo a questa parte a tutto questo grande lavoro informativo, basato sui meccanismi oliati di una macchina professionale esistente, fatta di agenzie di stampa, televisioni locali, corrispondenti esteri e inviati speciali, si sono aggiunte le informazioni che provengono dai flussi di rete: testimonianze che giungono dal luogo in cui l’evento è avvenuto da parte dei cittadini che hanno a disposizione un accesso a Internet.

Fino a qualche tempo fa la tecnologia utilizzata si basava sostanzialmente sulla ampia diffusione di telefoni cellulari con fotocamere e sull’utilizzo della rete come deposito informativo asincrono. Sono testimone di un evento, lo fotografo o lo riprendo con una videocamera, poi utilizzo un accesso a Internet per diffondere i miei contributi nella maniera più varia: inviandole ai giornali, caricando le foto su Flickr o un video su YouTube, scrivendo una testimonianza su un blog.

Questa modalità di contributo informativo dei cittadini è stata quella maggiormente utilizzata negli ultimi anni in occasione di grandi emergenze a partire dall’11 settembre 2001 in avanti. Gli attentati alla metropolitana di Londra, lo tsunami nel sud est asiatico ed altri eventi drammatici simili hanno subito questo processo di diluizione informativa verso Internet. In occasioni simili il compito dei media, oltre a quello di fornire notizie di prima mano provenienti dalla propria struttura, è stato quello di cercare in rete le “testimonianze dei testimoni”, nel caso in cui queste non venissero direttamente inviate ai siti web editoriali.

Questa parziale sovrapposizione delle fonti è stata gestita talvolta con qualche leggerezza. Spesso i media, desiderosi di informare in tempi brevi la propria clientela (pagante), hanno scelto di non occuparsi di barbose questioni di attribuzione, citazione e licenza dei contenuti che trovavano in rete. Talvolta è perfino successo che la fretta di essere primi sulla notizia abbia fatto saltare alcuni indispensabili ed elementari meccanismi di controllo delle fonti.

Negli ultimi tempi assistiamo invece ad un progressivo innamoramento da parte dei teorici della informazione verso strumenti come Twitter, decantato ormai oltre ogni misura come piattaforma in grado di raccontare gli eventi appena accaduti con precisione e velocità. Se a questo aggiungiamo le cronache recenti dopo le elezioni in Iran, dove Twitter è stata per molti giorni l’unico strumento capace di raccontare cosa stesse succedendo per le strade di Teheran (tutti gli altri erano stati oscurati dal regime) ecco che il processo di beatificazione è completato. Twitter nell’immaginario collettivo degli addetti ai lavori diventa lo strumento insostituibile di descrizione delle emergenze informative. Si tratta di uno strumento che consente solo brevi messaggi di testo? Non importa. Aggiungere una immagine a bassa risoluzione è laborioso e richiede l’appoggio su server esterni? Pazienza. L’ipermobilità di Twitter e la capacità di essere “live” in qualsiasi luogo in cui sia attiva una rete mobile, ne fanno indubbiamente uno strumento importante.

Cosi l’altra sera quando le agenzia cominciavano a dare i primi ragguagli sul terremoto in Venezuela ho aperto Twitter nella pagine del search digitando “earthquake” e sono rimasto pazientemente ad osservare i messaggi della public timeline per un paio d’ore. Le prime due ore classiche nelle quali nessuna agenzia e nessun sito web possiede notizie certe sugli eventi appena occorsi.

Bene, sarà stato perché il terremoto si è poi rivelato fortunatamente senza grandi conseguenze, ma nelle due ore di lifestreaming che ho seguito la grande maggioranza delle migliaia di messaggi transitati erano dei retwit dell’unica fonte disponibile (il sito web dell’istituto sismologico americano che mostrava la magnitudo e la località dell’evento) alternati a “cinguettii” piene di maiuscole e punti esclamativi riassumibili nella frase: “Accidenti c’è stato un terremoto in Venezuela!”.

Twitter è ormai diventato uno strumento troppo grande e troppo caotico per poterne immaginare rapidi e sintetici utilizzi informativi. Pescare dentro il grande rumore di fondo di migliaia di persone che citofonano agli amici la stessa informazione, che ricopiano per ore tutti lo stesso link o che magari scherzano su un evento potenzialmente drammatico scrivendo frasi del tipo “credevo fosse stato il terremoto invece è solo una cicciona che è passata in strada qui sotto”, è un lavoro improbo e molto dispendioso.

Del resto quando il commento pubblico degli eventi si mescola al racconto degli stessi è inevitabile che sia così. Avvenne lo stesso nei gruppi di discussione in rete il giorno del crollo delle torri gemelle. Internet è da sempre uno strumento formidabile per rappresentare in formato testuale i sentimenti delle persone. Per il resto, una volta sopito l’hype su Twitter, occorrerà forse organizzarsi meglio.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
14 set 2009
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