Si sta rapidamente diffondendo in Rete l’Internet Manifesto pubblicato nei giorni scorsi da un gruppo di blogger tedeschi e già tradotto in 14 lingue tra le quali, ovviamente, l’italiano.
Tanti i temi al centro del Manifesto: la diversità di Internet rispetto ai media tradizionali, l’inviolabilità della libertà della Rete e la stretta correlazione tra tale libertà e la democrazia, i rapporti tra internet, il giornalismo e l’editoria tradizionale ed ancora la Rete come nuovo spazio del dibattito politico, la convinzione secondo la quale la tradizione non può costituire un modello di business al quale l’editoria deve guardare e soprattutto quella secondo cui il Copyright deve diventare un dovere civico.
E, poi, ancora, il diritto all’oblio, la centralità della qualità nel mestiere del giornalista e l’abissale differenza che separa un link da una citazione, quest’ultima definita una “decorazione”.
Tanto, forse, troppo di cui discutere.
Non tutte le 17 dichiarazioni nelle quali si articola il documento sembrano rappresentare la sintesi di una riflessione matura e compiuta ma si tratta, comunque, di un buon punto di partenza per arrivare, forse un giorno, a scrivere un manifesto che possa rappresentare una sorta di dichiarazione universale dei diritti dei cittadini telematici.
Gli argomenti affrontati dai blogger tedeschi nel loro manifesto si sovrappongono perfettamente ad alcune delle più discusse questioni degli ultimi tempi a proposito del difficile equilibrio da individuare tra Internet, informazione, libertà e responsabilità, e ciò a conferma che la dimensione ormai raggiunta dai problemi della Rete è globale e che, pertanto, l’unica strada per affrontarli e risolverli è ricorrere a strumenti normativi e deontologici sopranazionali.
Navigare tra le 17 dichiarazioni dell’Internet Manifesto serve a fare mente locale sulle priorità e le questioni che, nei prossimi mesi, occorrerà affrontare anche nel nostro Paese e su taluni temi in relazione ai quali l’Italia pare destinata a giocare un ruolo da protagonista in chiave positiva o negativa.
Internet è diverso, è un impero mediatico tascabile, è la nostra società, è la vittoria del giornalismo ed il nuovo luogo del dibattito politico.
Sono queste le affermazioni fondamentali dalle quali muove l’Internet Manifesto e che i blogger tedeschi propongono alla Rete come punti fermi ed inamovibili della propria visione delle cose di Internet.
Ogni affermazione è accompagnata da una spiegazione e, nella più parte dei casi, da qualche suggerimento all’industria dei giornali ed ai giornalisti.
La diversità di Internet rispetto all’ecosistema mediatico preesistente, ad esempio, comporta come conseguenza che editori e giornalisti – ma l’indicazione sembra rivolta più ai primi che ai secondi – devono adeguare il proprio modo di lavorare al nuovo contesto tecnologico anziché ignorarlo o criminalizzarlo.
Non è certamente così ma la riflessione richiama alla mente la recente vicenda che vede contrapposti, dinanzi all’Autorità antitrust la Federazione italiana degli editori di giornali e Google in relazione al servizio Google news offerto da Big G.
I blogger tedeschi dedicano, d’altro canto, il punto 8 del loro Manifesto ai link, agli aggregatori di notizie ed ai motori di ricerca:
Motori di ricerca e aggregatori migliorano la qualità del giornalismo: potenziano l’accesso ai contenuti e sono parte integrante della nuova sfera pubblica in Rete. I riferimenti attraverso link e citazioni – in particolare quelli fatti senza il consenso o una remunerazione – rendono possibile la vera cultura del dialogo sociale di rete e devono pertanto essere assolutamente protetti.
Si tratta di una riflessione condivisibile sebbene, ancora oggi, frequentemente contestata da molti nell’ambito del sistema mediatico tradizionale.
“Internet è la nostra società e la nostra società è Internet” scrivono i blogger tedeschi, e si tratta di una società fondata sulla condivisione, sul confronto e sull’appartenenza alle reti sociali: se le grandi società media e TLC voglio continuare a sopravvivere devono accettare le regole non scritte di questa nuova società e, quindi, prima di tutto abituarsi ad ascoltare e rispondere ovvero a dialogare.
L’informazione non è mai troppa soprattutto se la selezione delle notizie è lasciata al singolo utente e cittadino e sottratta – come accaduto sino a ieri – alle Istituzioni, alla chiesa, ai centri di ricerca o alle grandi enciclopedie: è quanto è scritto al punto 11 del Manifesto.
Una considerazione importante, solo apparentemente ovvia e che fa da premessa ad un altro principio affermato nel Manifesto, quello secondo il quale, nel secolo della Rete, la libertà di informazione deve significare anche libertà di opinione a mezzo Internet per il cittadino comune e non solo per i media tradizionali.
Impossibile resistere alla tentazione di porre tali riflessioni in correlazione con quanto sta accadendo in Italia a proposito della mai risolta questione sull’obbligo di registrazione dei prodotti editoriali telematici – blog inclusi – e dell’idea di estendere anche alla blogosfera l’obbligo di rettifica in un contesto nel quale, tuttavia, mentre la libertà di informazione dei mass media tradizionali è assistita da una garanzia di insequestrabilità, blog e siti di informazione “amatoriale” continuano a formare oggetto di sequestro.
Due tra le tante le dichiarazioni contenute nel Manifesto da tenere in più alta considerazione e sulle quali accelerare una riflessione ampia e multistakeholders: la libertà di Internet è inviolabile e il copyright – almeno in relazione ai contenuti utilizzati con scopi informativi – deve divenire un dovere civico.
Quanto alla prima, i blogger tedeschi scrivono che l’architettura aperta della Rete ne costituisce la norma fondamentale e, soprattutto, che “Tale architettura non può essere modificata in nome di interessi economici o politici di parte che vengono spesso celati dietro un preteso interesse pubblico” perché “indipendentemente da come ciò avvenga, bloccare l’accesso a Internet, pone a rischio la libera circolazione delle informazioni e erode il nostro diritto fondamentale alla autodeterminazione del livello di informazione”.
Mi sembra un principio del quale far tesoro e da tenere a mente la prossima volta che, da qualche parte in Europa, qualcuno ipotizzerà che la tutela degli interessi economici di pochi giustifica una contrazione della libertà di Rete di tutti.
Forse, però, si potrebbe sin d’ora far di più e provare ad immaginare di trasformare, in fretta, in legge dello Stato l’idea dell’inviolabilità della libertà di Rete: sarebbe un bel segnale dal Palazzo al Paese reale che vive in virtuale, e porrebbe l’Italia in una posizione di leader sul terreno – oggi friabile più che mai – della tutela dei diritti civili elettronici.
Quanto alla seconda delle due dichiarazioni che ritengo fondamentali, quella in tema di diritto d’autore, la posizione del Manifesto mi sembra equilibrata e, proprio per questo, meritevole di particolare attenzione: si ribadisce che il diritto d’autore costituisce un pilastro dell’informazione online ma, ad un tempo, si richiama l’attenzione sull’esigenza che i titolari non abusino di tale diritto per limitare lo sviluppo di nuovi modelli di business o strumenti di circolazione dei diritti.
Se è pacifico che la pirateria digitale costituisce una minaccia – peraltro probabilmente assai meno grave di quanto non si racconti – all’industria del settore è altrettanto evidente che quest’ultima ha sin qui spesso utilizzato la leva dell’antipirateria e del copyright non tanto per garantire agli autori un’equa remunerazione quanto, piuttosto, per difendere posizioni di mercato acquisite contro l’avanzare di nuovi modelli di business che avrebbero minacciato la sopravvivenza dei protagonisti di mercato più attaccati al passato ed alla tradizione.
Una prima traduzione italiana dell’Internet Manifesto è qui su piattaforma wiki.
Credo sarebbe utile iniziare a discuterne, anche nel nostro Paese – come peraltro già proposto, per una volta, proprio dai politici attraverso il blog dell’on. Cassinelli e quello dell’Intergruppo parlamentare 2.0 – attraverso un processo partecipativo e multistakeholders e poi, nelle prossime settimane, cristallizzare un testo definitivo da utilizzarsi per avviare un confronto con quanti, negli altri Paesi europei ed extraeuropei in queste ore stanno, probabilmente, facendo la stessa cosa con l’obiettivo comune di individuare una carta fondamentale dei diritti dell’informazione in Rete che possa far sentire tutti uguali i cyber cittadini della comunità globale almeno nello spazio telematico.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it