Il giorno successivo alla strage del militari italiani a Kabul Il Giornale è uscito con un titolo a tutta pagina su una notizia piccola piccola: qualcuno, nei recessi più nascosti della rete Internet, aveva offeso e dileggiato la tragedia appena occorsa. Con qualche difficoltà un giornalista del quotidiano era riuscito a trovare un blog nel quale si scherniva la fine dei soldati uccisi nell’attentato, con qualche ulteriore difficile ricerca, nei commenti del blog di un giornalista dell’Unità e nell’immenso marasma dei commenti del blog di Beppe Grillo, aveva scovato qualche frase dai toni offensivi verso i militari italiani. Come già accaduto in passato poche flebili tracce in rete sono più che sufficienti a confortare il proprio teorema, a generare un editoriale di Vittorio Feltri in prima pagina, a far comporre il titolo enorme “Quelli che sputano sui nostri morti”.
Non si tratta solo di cattivo giornalismo, la rete italiana in queste ora trabocca di testimonianze commosse e preoccupate sulla strage di Kabul, il fatto è che queste persone odiano Internet. La odiano i tanti giornalisti che non hanno mai saputo accettare la presunta concorrenza altrui nel commercio delle parole, la odiano i politici, come la senatrice del PDL Laura Allegrini che letti gli articoli de Il Giornale si è precipitata a chiedere che venga immediatamente oscurato il sito in questione e che vengano individuati i responsabili, la odiano molti cittadini di questo paese, convinti in questi anni dalle informazioni che hanno ricevuto in merito, della natura ambigua e pericolosa di questo “nuovo” strumento di comunicazione.
E tuttavia il problema oggi non riguarda tanto costoro, che sono complessivamente solo una discreta e pericolosa minoranza, quanto la maggioranza degli italiani senza parere. In fondo Internet in Italia non è mai piaciuta quasi a nessuno, ce lo dimostrano un decennio di legislazioni sciagurate, di divulgazione malevola e di demonizzazioni di bassa lega. Il Parlamento sforna a ritmo continuo progetti di legge che la regolino, che ne chiudano delle parti, che soprattutto individuino i responsabili di qualsiasi azione e parola così che possano essere ridotti ad una qualche normalità, anche magari attraverso l’enorme dito puntato dei quotidiani su una pagina web letta normalmente da quattro persone.
Senza voler essere eccessivamente ideologico la differenza fra il governo attuale e quelli precedenti (non solo quelli del centro sinistra ma anche il precedente governo Berlusconi) è che oggi sembra sia stato superato il punto di non ritorno, che un residuo fastidioso diaframma sia infine caduto. Ciò che non poteva essere detto ora è sulla bocca di molti: questi signori odiano Internet perchè in un paese fortemente polarizzato ed impoverito in termini di discussione ed elaborazione culturale, la rete amplia il raggio dei punti di vista e costringe a nuovi sforzi di apertura verso gli altri. Quello che altrove è diffusamente percepito come un valore da noi è in molti casi una richiesta finalmente dichiarata come irricevibile. Comprendere i punti di vista altrui? Capire che anche quelli distantissimi dal nostro hanno diritto di asilo su Internet? Non sia mai.
Guido Scorza nei giorni scorsi ha lanciato dalla pagine di questo giornale l’ennesimo allarme su un progetto di legge capace di minare alle basi la libertà della rete. Il disegno Pecorella è solo l’ultimo di una lunga serie e non fa altro che confermare una tendenza già nota. Ma oltre al disegno di legge in sé, che in fondo si occupa delle “solite” cose come aggiungere strumenti di controllo sui cittadini che decidono di esprimere liberamente i propri punti di vista, è forse interessante osservare ciò che accade a margine. Il numero crescente di minacce legislative alla rete ha creato una sorta di tolleranza farmacologica, ad ogni giro l’indignazione in rete è minore, ad ogni grido di allarme si moltiplicano, anche fra i pochi utenti di Internet interessati a queste questioni, gli sbadigli e le alzate di spalle. Come sempre poi l’indignazione digitale è un movimento di opinione a costo zero e le sempre più rare proteste diffuse in rete, più o meno organizzate su blog e siti Internet, sono fenomeni destinati a vaporizzarsi alla prima chiamata ad un impegno concreto nella vita reale, una discesa in piazza, una telefonata al proprio parlamentare di riferimento ecc.
Accanto a quelli che odiano Internet in Italia c’è un popolo assai più ampio di cittadini che ignorano Internet. Un italiano su due la ignora perché non sa o non vuol sapere cosa sia, ma fra l’altra metà dei cittadini collegati esiste una grande maggioranza che semplicemente non considera rischi e conseguenze di ciò che sta accadendo. Che semplicemente non è interessata.
Come se ne esce? Per quanto mi riguarda non se ne esce se non attaccandosi con le unghie ancora una volta alla transnazionalità della rete, all’Unione Europea e ad altri santi simili. Dipendesse da questo paese reclinato su se stesso Internet non sarebbe nemmeno nata o sarebbe morta in culla, felicemente soffocata da un numero molto ampio di mani differenti. C’è una modesta speranza residua, affidata ai tanti che “non sanno”, a quell’italiano su due che, molto in teoria, potrebbe svegliarsi domani, accendere il suo nuovo router ed avere improvvisamente a cuore l’apertura e la libertà di questo strumento di collegamento fra le persone. A questi cittadini sconosciuti erano dedicati i fondi (800 milioni di euro circa) che il sottosegretario alle Comunicazioni Romani aveva promesso sarebbero stati investiti per lo sviluppo della banda larga. Poi, chissà perché, questi soldi sono scomparsi, destinati a più urgenti emergenze.
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