Contrappunti/ La spada digitale

Contrappunti/ La spada digitale

di M. Mantellini - Sulla testa delle major ne pende come quella di Damocle, fatta però di bit. Se riusciranno ad addomesticare le proprie preoccupazioni, il futuro per loro e per i loro clienti non potrà che essere radioso
di M. Mantellini - Sulla testa delle major ne pende come quella di Damocle, fatta però di bit. Se riusciranno ad addomesticare le proprie preoccupazioni, il futuro per loro e per i loro clienti non potrà che essere radioso

La settimana scorsa ho partecipato a Milano al Digital Music Forum, organizzato dalla FIMI . Si sarebbe dovuto parlare di modelli di business per la musica digitale ma, come spesso accade in questi casi, il tempo era poco, i relatori molti e così la discussione ha preso subito percorsi differenti da quelli previsti. Visto che credo molto nella utilità di discutere di argomenti simili al di fuori delle cerchie ristrette degli addetti ai lavori, appunto qui alcune delle cose che mi sarebbe piaciuto dire.

Premessa
Chiunque si occupi oggi di modelli economici per i contenuti in Rete (musica, film, news ecc) dovrebbe porsi una domanda preliminare: “Accetto o non accetto l’idea di Internet come un ecosistema differente, basato sulla condivisione delle risorse fra pari?”. Se questa idea non viene accettata e le scelte di campo o i vagheggiamenti sul futuro prevedono altro, rispetto all’accettazione dell’idea di rete come spazio aperto e condiviso, allora molti dei discorsi che leggerete più avanti perdono di significato. Va detto che, fino a oggi, come è assai evidente, il mondo della industria discografica si è dichiarato di fatto indisponibile a questa sostanziale accettazione, con tutto il corollario di denunce, attività di lobbying, azioni sulla estensione del copyright che conosciamo bene.

Postilla
La non accettazione della architettura aperta della Rete è ovviamente plausibile ma la trasformazione di Internet in ambiente adatto primariamente alla distribuzione dei contenuti digitali a pagamento passa obbligatoriamente per la fine della Rete per come la conosciamo oggi.

Modelli per domani
La mia idea è che se oggi dobbiamo immaginare un ambiente economico efficace e moderno per la distribuzione legale della musica in Rete sia necessario ispirarsi in maniera molto forte alle dinamiche dei circuiti peer to peer. Magari per i discografici suona come una bestemmia ma francamente non vedo grandi alternative. Questo significa offrire ai propri clienti ambienti che abbiano forti analogie con la condivisione di musica in Rete che milioni di persone già praticano in tutto il mondo, aggiungendovi ovviamente quel qualcosa in più capace di trascinare molte persone dalla “pirateria” (le virgolette sono d’obbligo) alla distribuzione legale.

Inciso
I discografici pensano ad iTunes Music Store come ad un ambiente economico rivoluzionario e come l’unico esempio profittevole di distribuzione musicale in Rete. È vero solo in minima parte. Come sappiamo lo store di Apple si regge in gran parte sulla sinergia fra l’hardware Apple e la distribuzione musicale e non è come tale replicabile con facilità da parte di altri soggetti. Di più, il negozio online di Steve Jobs ha avuto il merito enorme di interrompere una separazione nettissima fra musica legale e Rete (dopo che per un decennio l’industria si era recisamente rifiutata di aderire a qualsiasi compromesso) con una serie di passi importanti, primo fra tutti quello della distribuzione del singolo brano a prezzo fisso. Nonostante questo non sembra oggi, per le ragioni che dirò, l’ecosistema ideale per la distribuzione musicale nei prossimi anni.

Condivisione
Un modello di distribuzione legale della musica che sposi l’architettura di Rete non può prescindere dalla condivisione. Internet oggi esiste come esperienza condivisa: non è credibile immaginare contenuti digitali che la attraversino senza prevedere che questi possano, una volta acquistati, essere almeno in parte condivisi fra pari. La fine dei DRM è del resto una indicazione assai chiara di quale valore abbiamo oggi i lucchetti e di quale sia la loro capacità, anche volendola applicare, di interrompere i flussi di Rete. Chiunque immagini oggi sistemi distributivi legali deve convenire che, almeno fra i proprio sottoscrittori, la musica acquistata possa essere condivisa.

Libreria
Alla fine degli anni ’90, quando si iniziava a immaginare la Rete come un ambiente adatto alla circolazione di grandi quantità di contenuti differenti, nacque l’espressione “jukebox celestiale”. Si alludeva alla possibilità di accedere a tutta la musica del mondo. Nell’ultimo decennio con il P2P gli utenti si sono abituati all’idea di poter raggiungere in tempi brevi qualsiasi brano fra quelli disponibili. Come scrive giustamente Luca Castelli nel suo recente libro “La musica liberata”, questo atteggiamento ha consentito tra le altre cose anche la sopravvivenza e l’emersione di una quota amplissima di musica che in epoca predigitale era morta e sepolta, non più stampata, non più distribuita.

Esiste una funzione enciclopedica dei circuiti di file sharing che non può essere misconosciuta ma, soprattutto, gli utenti oggi si aspettano librerie che abbiano qualche salda affinità con il jukebox celestiale. La conseguenza logica è che una offerta musicale per domani non potrà prescindere da un accordo fra tutti i grandi distributori di musica per rendere disponibile la più grande libreria disponibile, qualcosa che assomigli in maniera significativa a quanto è già ora possibile trovare in Rete per altre vie e con molto maggiori difficoltà.

Denaro
Quanto deve costare condividere il jukebox celestiale? Non è facile dirlo ma forse la premessa giusta è quella di avere il coraggio di percorrere il cammino in direzione inversa. Quanti soldi possiamo chiedere agli utenti per offrire loro tutta la musica del mondo? La risposta più onesta è: “non molti”, ma moltiplicati per un numero di soggetti straordinariamente ampio. Certamente la forma principe di retribuzione immaginabile è quella di una flat mensile o annuale.

Seguendo le sagge indicazioni di un celebre white paper pubblicato nel 2004 da EFF, gli utenti hanno molte maniere di accedere e condividere legalmente le librerie musicali in Rete. Pagando una cifra mensile collegata ad un abbonamento Internet, attraverso l’uso a pagamento di una interfaccia software legale simil-P2P o abbonandosi a servizi musicali tipo iTunes (ma radicalmente mutati nelle caratteristiche e nelle prerogative). Se ogni utente del P2P pagasse oggi 5 euro al mese per accedere alla musica in Rete attraverso sistemi semplici e condivisi, forse qualcosa potrebbe davvero cambiare.

A margine di questo discorso va sottolineato che oggi esiste una ampia fascia di utenti della Rete che subisce un “divide tecnologico” in accesso ai sistemi di condivisione musicale. Un numero molto alto di persone che non possiede le competenze minime per utilizzare BitTorrent o un software P2P. Oltre all’effetto di trascinamento che proposte commerciali eque avrebbero sui “pirati” (una quota dei quali ovviamente resterà comunque tale) va considerato il fatto che una architettura di accesso semplice alla musica legale avvicinerebbe molte persone che oggi in Rete le restano comunque distanti.

Percorsi
Ci sono due percorsi altrettanto importanti che vanno intrapresi per rendere la musica in Rete legale per un numero molto ampio di persone. Da un lato c’è da iniziare un grande lavoro di accettazione del fatto che la musica non può essere gratuita. In Italia più che altrove esiste una modestissima percezione di questa evidenza (stavo per scrivere “di questo reato”, ma continuo a faticare a considerarlo tale). Molti sostengono, non so se a ragione o a torto, che le nuove generazioni – i cosiddetti “nativi digitali” – non associano minimamente l’idea di fruizione musicale su Internet a quella del pagamento di un prezzo per essa.

Io non so bene se sia vero, quello che credo è che nel momento in cui esistono ambienti economici “compatibili” con Internet per la distribuzione legale è necessario iniziare un grande cammino di educazione civica sui costi da sostenere. Le pubblicità con le manette, i comunicati stampa terrorizzanti o le cause esemplari, ciclicamente intentate dalla industria discografica verso i semplici condivisori di musica in Rete, hanno ottenuto l’effetto opposto a quello desiderato, scavando un fossato sempre più profondo fra le major e la loro clientela. In ogni caso un percorso di riconciliazione ha un senso ed è percorribile solo se nel frattempo si è immaginata un alternativa legale al P2P, non prima.

Il secondo percorso è faccenda privata della industria. Si tratterebbe in realtà di una faccenda di rinnovamento aziendale che ha però ricadute significative su ciascuno di noi. Molti dei discorsi appena accennati non possono prescindere da una industria discografica nuova, illuminata ed aperta all’innovazione. Fino a quando il riferimento resta quello dei bei tempi che furono, quando i margini erano enormi, le star in classifica costruite a tavolino e il controllo sui supporti distribuiti quasi assoluto, allora davvero non se ne esce.

Il grande tema industriale per le major del disco oggi è quello di trovare una nuova collocazione dentro un ambiente distributivo che percepiscono ancora come inconsueto e pericoloso, ma che di fatto esiste nonostante loro. Forse all’inizio sarà necessario ridimensionare in maniera forte le aspettative economiche ma le opzioni per il futuro restano comunque molte ed eccitanti. Per farlo bisogna iniziare a capire la Rete, sposarne le dinamiche, offrire alla immensa platea dei potenziali clienti qualcosa che assomigli a ciò che loro si aspettano. Smettere di chiamarli “pirati” è solo il primo di molti passi ormai irrimandabili.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 12 ott 2009
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