Red Hat: basta brevetti sul software

Red Hat: basta brevetti sul software

Intervenendo in un processo che ha rifiutato la concessione di un brevetto ad un metodo commerciale, l'azienda ha espresso il proprio punto di vista. Che va ad arricchire il dibattito su una possibile imminente riforma sia in Europa che negli USA
Intervenendo in un processo che ha rifiutato la concessione di un brevetto ad un metodo commerciale, l'azienda ha espresso il proprio punto di vista. Che va ad arricchire il dibattito su una possibile imminente riforma sia in Europa che negli USA

Red Hat ha depositato presso la Corte Suprema degli Stati Uniti una dichiarazione contro l’attuale sistema di brevetti software, che “intralcia l’industria e lascia gli sviluppatori alla mercé dello sfruttamento”.

Occasione è stato l’ appello del caso Bilski , che riguarda un brevetto su un metodo commerciale (che al contrario in Europa non è brevettabile). L’interpretazione offerta dalla Corte sui requisiti di brevettabilità secondo Red Hat potrebbe avere importanti ricadute anche sui software . In qualità di Amicus Curiae ha quindi espresso le sue opinioni sul caso in esame.

La Corte Federale ha respinto la brevettabilità del metodo commerciale presentato da Bernard L. Bilski per la gestione di alcuni titoli commerciali, affermando che si tratta esclusivamente dell’applicazione di un metodo matematico . Ha così messo in discussione il machine-or-transformation test : il metodo, usato dai primi del novecento per dimostrare la brevettabilità di un metodo attraverso la sua implementazione tramite una macchina ad hoc, non sarebbe sufficiente a dimostrare che un determinato metodo non sia semplicemente un’idea astratta.

Red Hat afferma che il software è di fatto “una tecnologia astratta che, tradotta nel linguaggio dei brevetti genera facilmente rivendicazioni vaghe e incerte”. Aggiungendo poi che “i prodotti software sono spesso altamente complessi e costituiti anche da migliaia di piccoli (e potenzialmente nuovi) elementi in un processo cumulativo”, e avere confini rivendicativi estremamente vaghi e un numero sempre crescente di brevetti rende “virtualmente impossibile escludere la possibilità che un software nuovo possa assolutamente non infrangere alcun brevetto”. Il risultato è che “l’attuale sistema blocca l’innovazione dell’open source e dei software in generale”.

Il 9 novembre riprenderà il processo con le audizioni orali. A margine di esso, intanto, si intrecciano altre proposte per riformare il sistema brevettuale, e la brevettabilità del software, più di altri, rappresenta le maggiori problematiche, tanto che ha visto negli anni svilupparsi varie alternative sotto forma di licenze specifiche: per esempio con il movimento Free Liber Open Source Software (FLOSS).

Non mancano proposte per iniziare un percorso di riforma. Per esempio l’amministrazione Obama, nominando a capo dell’USPTO David J. Kappos per 16 anni responsabile del portafoglio brevetti IBM, sembra essere incline ad accettare l’opzione open source.

Il dibattito prosegue, ed è intervenuta anche Microsoft che, commentando una lettera del segretario del commercio statunitense Gary Locke al comitato giuridico del Senato, ha supportato una “riforma equilibrata” e ribadito la propria collaborazione: non si parla ancora di contenuti specifici, ma dell’ urgenza di una riforma del sistema e in particolar modo della necessità di snellire i procedimenti giuridici relativi alla proprietà intellettuale. Il maggior elemento propositivo della proprosa di Locke è costituito dal supporto al passaggio del sistema statunitense dal “first-to-invent” al “first-inventor-to-file”, utilizzato in Europa: negli States in questo momento conta chi dimostra di aver inventato per primo, mentre in Europa l’inventore che deposita per primo la domanda.

Dall’altra parte dell’Atlantico la commissione Europea ha dato mandato per uno studio sulla qualità dei brevetti nell’UE e sul possibile ruolo di un brevetto comunitario unico per sostituire l’attuale brevetto europeo, costituito da un fascio di brevetti nazionali indipendenti l’uno dall’altro. Durata prevista della ricerca per valutare l’opportunità e la direzione di una riforma, 15 mesi.

Le questioni nel Vecchio Continente sono naturalmente varie. Il sistema, costruito su una necessità (incentivare l’innovazione) è a volte giudicato
negativamente : qualità (spesso bassa) dell’innovazione garantita contro estensione (larga) della protezione, mancanza di chiarezza sulle rivendicazioni protette, alto numero di contenziosi. Inoltre i costi elevati e i tempi dilatati per i processi brevettuali contribuiscono ad aumentare l’incertezza. Ma si parla anche dell’eventualità di allargare il brevetto ai software, sulla scia del principio di equiparazione di non discriminazione tra campi tecnologici affermato dall’art 27 dell’Accordo TRIPS stipulato in sede Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

Nel Regno Unito intanto Trevor Baylis, inventore della radio a molla, ha chiesto al governo britannico che il furto di proprietà intellettuale sia considerato penalmente . Egli ritiene infatti che un avvocato avvocato brevettuale sia troppo costoso e che vi sia una sproporzione rispetto alle pene comminate per il furto di una macchina, che paradossalmente può valere meno molto di un brevetto. Baylis sembra dimenticare, tuttavia, che nei processi brevettuali il confine delle rivendicazioni e dell’infrazione di brevetto è tutto da dimostrare, e che spesso le idee risultino rubate inconsapevolmente: o perché non si è a conoscenza di un brevetto, o perché non si è compreso che l’argomento trattato in esso fosse equiparabile alla tecnologia utilizzata.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
14 ott 2009
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