Milano – “Siamo messi male”. La slide di apertura del convegno inaugurale di Smau 2009 non fa sconti all’evidenza: l’ICT in Italia vive uno dei suoi momenti più critici. Lo sappiamo tutti, certo. Ma l’effetto che fa – al cospetto di un pubblico addetto ai lavori – è, se possibile, ancor più deprimente. Il gelo in sala dura un attimo. Come prevedibile, si annuncia a gran voce che “la cura c’è”.
A far tornare il sorriso è Pierantonio Macola, amministratore delegato Smau: “Ci sono tante aziende in Italia immuni da questo virus” dice, commentando lo scarso investimento in tecnologie informatiche da parte delle imprese italiane, da lui stesso sottolineato in apertura. Già, ma qual è la cura? Su questo – con diverse sfumature e modalità – concordano tutti i relatori: innovazione, innovazione e ancora innovazione. “In tutti i casi di studio che abbiamo analizzato – afferma Macola – le imprese innovative che hanno saputo fronteggiare la crisi ICT erano accomunate da due elementi fondamentali”: vale a dire il vertice aziendale credeva e crede fortemente nell’innovazione, e nell’organizzazione gerarchica dell’azienda era ed è sempre presente un soggetto innovatore.
Macola non è il solo a vedere il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto: “Siamo indietro è vero, ma non su tutto!” conferma Andrea Rangone, coordinatore degli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano. Pur sciorinando una serie di dati e circostanze negative (bassa incidenza, appena il 2 per cento, della spesa IT sul PIL, scarsa crescita della produttività del lavoro, umiliante 22simo posto nell’indice europeo della capacità di innovare, scarsa penetrazione Internet e della banda larga rispetto alla media europea, affermazione insufficiente dell’ecommerce B2C e dell’advertising), Rangone ha fatto notare che ci sono alcuni segnali incoraggianti da altri settori dell’ICT.
Ad esempio, gli investimenti in TLC (2,8 per cento del totale), aspetto per il quale non segniamo il passo rispetto all’identica media europea. E la penetrazione dei terminali 3G (43 per cento), dove superiamo la media europea. Per i cellulari poi – ma questo è risaputo – con una penetrazione pari all’86 per cento non temiamo rivali.
Anche Paolo Angelucci – presidente Assinform/Confindustria – scartabella tra le sue carte alla ricerca di quella che chiama la “sorpresa positiva”: facendo un po’ di calcoli – dice – è emerso che, pur in questo periodo di crisi, l’IT è il quarto settore industriale dell’economia italiana. “Abbiamo fatto i conti bene per non sbagliare, quasi non ci credevamo” commenta Angelucci, invitando a riflettere su di un dato che deve dar fiducia per il futuro.
E gli aspetti positivi – incalza Rangone – non finiscono qui: ci sono segnali incoraggianti anche nel modo di intendere e prevedere il futuro dell’ICT da parte dei decision maker e degli addetti ai lavori: il 90 per cento dei 220 CEO oggetto di uno studio in merito prevede un 2010 migliore del 2009 e l’80 per cento dei 146 manager italiani consultati prevede per l’ICT un ruolo fondamentale a breve termine. Segno di una consapevolezza nel ruolo delle tecnologie che neppure una crisi così importante pare sia riuscita a intaccare: “Le idee nell’ICT, al dil à delle difficoltà, non conoscono la crisi” afferma al proposito Roberto Formigoni, presidente Regione Lombardia. Anch’egli estremamente convinto dell’opportunità di innovare per vincere l’attuale crisi dell’ICT.
Innovazione solo come opportunità? Tutt’altro: “Innovare è una stretta necessità” sottolinea Umberto Bertelè, presidente della School of Management del Politecnico, “si deve innovare non solo per vincere ma per sopravvivere”. E occorre innovare partendo dalla valorizzazione delle specificità del mercato italiano, puntando al valore aggiunto di una via tutta italiana all’innovazione piuttosto che, come sottolinea Rangone, “scimmiottare i paesi esteri avanzati” dimenticando le nostre diversità. Visto che siamo (grazie al cielo) diversi, e che dobbiamo valorizzare queste nostre storiche capacità di offrire qualità, estetica, moda, design, ricerca e stile: lo afferma con forza anche Carlo Sangalli, presidente Confcommercio, anch’egli persuaso dell’innovazione quale “tassello importante per uscire dalla crisi”. Ma, d’altro canto, estremamente convinto che l’innovazione sia “solo” il mezzo su cui puntare per ritrovare la competitività.
Innovazione e competitività. Aspetti così importanti da aver spinto qualcuno (Rangone) a proporre ufficialmente di ribattezzare il termine ICT in “Tecnologie dell’Innovazione e della Competitività”. Con qualche proselito: Fabio Pistella (CNIPA), ad esempio. Che – portando ai presenti i saluti del “onniassente” Ministro Brunetta – troppo spesso nei panel ufficiali delle conference, non altrettanto in sala – concorda sulla I e la C di Rangone e rilancia sulla T, che cambierebbe in S: “Dovrebbe significare Soluzioni” chiosa, alludendo al ruolo d’intermediazione tra imprese, pubblico e privato che l’ICT dovrebbe svolgere nell’offerta di nuovi servizi e soluzioni.
Innovazione e competizione, dunque, per vincere la crisi. Ma cos’altro non funziona nell’ICT in Italia? Tante altre cose, in effetti. Andrea Rangone s’inventa addirittura un decalogo per raccontarcele tutte. Tra queste, di particolare importanza, la necessità di diffondere la conoscenza dell’ICT e delle sue opportunità a tutti i livelli attraverso un “elettroshock culturale” capace di superare il vero digital divide italiano (che – dice Rangone – è in primis culturale) e l’opportunità di “rendere l’ICT più sexy”: “Basta acronimi e tecnocratese – dice Rangone rivolgendosi agli esperti – d’ora in poi facciamo in modo che le ragioni e le opportunità dell’ICT siano davvero comprese e comprensibili da tutti”.
Massimo Mattone