P2P, scarico dunque compro

P2P, scarico dunque compro

Lo rivela uno studio britannico: i presunti pirati della Rete spendono annualmente 77 sterline in musica e collaterali. Più del doppio degli onesti cittadini di Internet
Lo rivela uno studio britannico: i presunti pirati della Rete spendono annualmente 77 sterline in musica e collaterali. Più del doppio degli onesti cittadini di Internet

Sono stati definiti pirati della Rete, predoni alla caccia di contenuti nei mari del file sharing illecito. Eppure, un recente studio britannico sembra aver messo in luce un lato particolarmente onesto degli habitué del P2P: molti di questi spenderebbero più di ogni altro nel settore musicale , in dischi, t-shirt e concerti. L’indagine è stata commissionata da Demos , think tank con base a Londra, per comprendere meglio le abitudini di un campione di circa mille consumatori del web tra i 16 e i 50 anni d’età.

Si è scoperto che il 10 per cento degli intervistati ha ammesso di scaricare file musicali illegalmente, ma allo stesso tempo di acquistare beni e servizi legati alla musica per un valore medio di circa 77 sterline l’anno (110 euro). Sorpresa, si tratta di una cifra maggiore (di 33 sterline per la precisione) di quella spesa annualmente da chiunque eviti accuratamente di attingere canzoni e video dai torrentisti di tutto il mondo.

Sembra , allora, che i presunti pirati del web spendano più del doppio degli onesti cittadini di Internet, evidentemente in barba ai soliti dati annunciati dall’industria del settore. British Phonographic Industry (BPI) ha infatti ricordato che la violazione del copyright creerà nella stessa industria un buco del valore di 200 milioni di sterline (285 milioni di euro circa).

Non si tratta soltanto di conti di natura finanziaria: l’indagine condotta dall’istituto Ipsos Mori servirà come monito nei confronti del Segretario di Stato Lord Mandelson che ha recentemente presentato un piano dettagliato d’azione per sospendere temporaneamente gli account Internet, bloccare l’accesso ai siti legati allo sharing e rallentare il traffico per contenere le attività illegali.

“L’approccio mostrato di recente dal governo – ha spiegato il ricercatore Peter Bradwell di Demos – non aiuterà di certo l’industria musicale a guarire. Il mondo della politica e quello della musica devono capire che la stessa natura del consumo musicale è cambiata radicalmente, con gli utenti che chiedono prezzi più contenuti e un accesso più ampio”.

È, tuttavia, vero che il 61 per cento degli utenti intervistati ha dichiarato di essere intenzionato a smetterla con il downloading non autorizzato qualora debba affrontare la reale minaccia di un taglio netto alla connessione Internet per un mese intero. Per Mark Mulligan di Forrester Research la dottrina dei three strikes dovrebbe considerare una questione generazionale: “La gente coinvolta nel file sharing è quella più interessata alla musica. Utilizza il file sharing come mezzo di scoperta. Abbiamo una generazione di giovani che non vede la musica come un prodotto a pagamento”.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 2 nov 2009
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