I commenti dei cittadini della rete non si sono mai esauriti, il dibattito ferve sul forum dedicato ai lavori del Comitato tecnico contro la Pirateria Digitale e Multimediale istituito oltre un anno fa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ma le notizie dal versante istituzionale sono ferme ai mesi primaverili. Riprendono ora, con un contributo del Capo di Gabinetto del Ministro della Gioventù, Luigi Bobbio (AN). Punto Informatico riprende sulle sue pagine il testo del documento, il quale, spiega lo stesso On. Bobbio, rispecchia anche il pensiero del Ministro Meloni.
Internet è la più grande frattura generazionale di tutti i tempi: creatività, conoscenza, innovazione sono sulla rete, un contributo straordinario che la gioventù italiana sta portando al rinnovamento del nostro paese, per troppi anni ingessato nella sua capacità di fruire dei tanti contenuti culturali di cui dispone. Internet è dei giovani e i giovani italiani devono poterne beneficiare pienamente, a costo di rimettere in discussione vecchi equilibri e rendite di posizione.
La “Pirateria Digitale Multimediale” è una semplificazione giornalistica riduttiva dei veri termini del problema: la rete succede a tutti i media del ventesimo secolo, TV compresa.
Fenomeni di illegalità sulla rete sono marginali rispetto alla portata storica del processo e vanno comunque affrontati con gli strumenti giuridici esistenti per tutti gli ambiti della vita civile, aggiornando il diritto d’autore, non certo avventurandosi in leggi speciali e pericolose acrobazie costituzionali: investiamo piuttosto sulla capacità tecnico-istituzionale di presidiare, con le tante leggi già esistenti, l’intero processo evolutivo verso la nuova società italiana di cui i giovani sono i principali innovatori e come tali sono da tutelare e incoraggiare.
Per l’industria italiana dei media e per la sua competitività sul mercato globale, paradossalmente, il più grande ostacolo all’introduzione di nuovi modelli nel mercato dei contenuti digitali è il ritardo nella diffusione della banda larga e la scarsa alfabetizzazione informatica delle generazioni meno giovani. Questi aspetti sono preponderanti su fenomeni più eclatanti come la stessa pirateria di tipo “filesharing”. La frattura
generazionale nelle capacità e abitudini di consumo dei nuovi contenuti digitali e dell’uso di internet, particolarmente accentuata in Italia, ha reso fino ad oggi poco attraente qualsiasi investimento in nuovi modelli di offerta e distribuzione “online” che sono invece diffusi con ampia concorrenza e con grande riduzione nei costi distributivi in altri paesi dove la pirateria diminuisce.
L’industria nazionale dei contenuti deve uscire dalla logica dello status quo, investire sui talenti di internet e smettere di pensare agli aiuti statali quando i modelli di business vecchi non funzionano più.
D’altronde la storia si ripete, come quando con le prime radio e televisioni private e “pirate”, a fronte di un mercato immaturo e chiuso, gli utenti erano disposti ad ascoltare anche chi diffondeva illegalmente contenuti audio-visivi. Oggi per giunta la domanda potenziale di contenuti diffusi via internet non include per limiti infrastrutturali, come invece la diffusione delle radio e televisioni permetteva allora, l’intera popolazione italiana.
Il “digital divide”, la mancata diffusione degli accessi a internet e degli accessi in “banda larga”, penalizza ulteriormente il nostro posizionamento competitivo nel nuovo scenario internazionale dei media digitali: l’Italia è agli ultimi posti nelle classifiche mondiali.
È necessario porsi il problema della strategia, evitando battaglie di retroguardia, che ci farebbero perdere la guerra, puntando, come pure alcuni vorrebbero, al puro contenimento repressivo della rete e dei suoi utenti con un percorso costituzionalmente tortuoso e tecnicamente inattuabile o perlomeno inutile. Occorre, invece, puntare su una strategia dal lato dell’offerta, in positivo e fondata sulla concorrenza, aprendo il mercato piuttosto che restringerlo.
La parola chiave potrebbe quindi essere: “contenuti”.
In una visione di sistema non dovremmo però dimenticare, come Nazione, che la nostra condizione attuale di semplici “consumatori” di internet non può più durare. È durata anche troppo.
Lo stato deve porsi obiettivi infrastrutturali veramente strategici, costruiamo subito la “gigabit-internet” nazionale, una rete mille volte più capace delle realtà ADSL esistenti in Italia, rendiamola servizio-universale, gratuito almeno per i giovani.
La rete a banda larga può creare i posti di lavoro del futuro per liberarci dai problemi della mobilità, dell’inquinamento, ma anche delle nuove cyber-minacce che solo un paese tecnologicamente preparato può affrontare.
Internet può paradossalmente portare le nuove generazioni alla riscoperta dei saperi antichi, delle tradizioni nazionali, dei valori storici del nostro paese, de-materializzando e dis-intermediando gran parte del mondo del novecento. Ad esempio, la filiera agricola può tornare a generare valore aggiunto direttamente sulla rete con i consumatori, il patrimonio culturale italiano ridivenire protagonista internazionale, i turisti scegliere nuovamente l’Italia come prima destinazione mondiale.
Dobbiamo puntare risolutamente, anche se tardivamente, a divenire titolari di un know-how info-logistico, ossia informatico infrastrutturale, sia a livello istituzionale che imprenditoriale.
Occorre quindi investire nelle tante infrastrutture materiali e immateriali che compongono la rete e rimuovere ogni facile tentazione autolesionista di status-quo, oltre che promuovere l’alfabetizzazione digitale delle famiglie e la consapevolezza nell’uso responsabile delle giovani generazioni.
Occorre però anche aumentare la capacità di produzione dei contenuti per internet.
Lasciando la pirateria come problema dominante, dimentichiamo il problema più ampio che lo contiene e che riguarda la maturità del mercato che dovrebbe essere portata ad un livello tale da rendere la pirateria un fenomeno marginale in uno scenario di offerte oramai internazionali. La barriera linguistica sulla rete è superata.
A questo fine si potrebbero avviare la fruibilità e l’accessibilità di tutti gli odierni contenuti TV, cinematografici, letterari e musicali per internet. Fruibilità e accessibilità intese come capacità di veicolare questi contenuti con le tecniche ed il linguaggio del nuovo medium e non come semplice trasposizione di “format” pensati per i vecchi media. La RAI fino ad oggi ha destinato molte risorse alla TV tradizionale e all’infrastruttura del digitale terrestre, tecnologia ponte che esordisce ormai vecchia: queste risorse sono state comunque un investimento cospicuo per le generazioni meno informatizzate che internet lo usano poco e male.
È venuto il momento di tornare ad investire per i giovani, la RAI deve velocemente spostarsi su internet, investire prevalentemente sulle tecnologie IP, rendere fruibili sulla rete le sue teche, ad esempio con licenze del tipo “creative-commons”, alla stregua delle emittenti pubbliche europee più evolute come la BBC.
Nel ‘700 inglese gli autori non avevano alcun diritto sulle proprie opere: erano gli stampatori a detenere il diritto di copiare le opere che comperavano dagli autori, per un tempo indefinito. Non esisteva concorrenza, i prezzi erano arbitrariamente alti e la Corona poteva direttamente vietare la stampa delle opere meno gradite. Il parlamento inglese decise di intervenire nel 1710 ponendo le basi del moderno diritto d’autore anche a tutela dei diritti della società, con un titolo molto esplicito: Copyright, An Act for the Encouragement of Learning. Oggi i binari paralleli al copyright, ampiamente diffusi con internet, sembrano andare nella stessa direzione riproponendo in chiave moderna l’antico obiettivo del diritto d’autore: è il caso ad esempio dei modelli legali del “free software”, del “copyleft”, del “share-alike”, del “creative commons” il cui successo mondiale sta costringendo a una profonda rivisitazione dei tradizionali schemi editoriali e distributivi ancorati al “copyright”.
Il Senato ha approvato l’Ordine del Giorno (n. G3.174 al DDL n. 1209) per consentire la nascita di altre società di intermediazione, raccolta e ripartizione dei compensi del diritto d’autore, impegnando il Governo affinché, tra l’altro, si modifichi l’assetto della SIAE, si garantisca una pluralità di operatori e una maggiore efficienza nella gestione dei diritti d’autore e si favorisca l’ampliamento del mercato delle società di gestione collettiva dei diritti d’autore. La costituzione del “Gruppo Giuridico Misto Creative Commons – SIAE” così come il recente intervento della stessa SIAE in merito alla reinterpretazione del contenuto del vigente art. 11 del Regolamento generale SIAE in vigore dal 2007 (diritti degli autori su internet), vanno nella direzione giusta, ma ancora troppo timidamente e forse anche burocraticamente. Le reazioni critiche di pochi autori, riportate dalla stampa, dimostrano come il problema sia ancora soprattutto generazionale, a fronte della stragrande maggioranze dei giovani autori che internet lo conoscono e lo vorrebbero poter utilizzare a pieno.
La nostra P.A., sul modello di quella tedesca, dovrebbe investire principalmente nei software open-source disponibili, risparmiando e promuovendo i tantissimi giovani talenti che in Italia sono superficialmente trascurati. Paradossalmente si otterrebbe anche un esempio di come tagliare alla fonte il problema della pirateria del software, valorizzando quella straordinaria comunità scientifica della conoscenza “open” già pubblicamente disponibile.
Il rischio da evitare è quello di trovarsi in una sorta di autarchia mediatica inseguendo solo opzioni repressive nel condizionamento, spesso veicolato dalle lobby di settore, che è generato dal pur gravissimo problema della contraffazione delle opere dell’intelletto in generale e, come fattispecie, dei contenuti digitali.
Internet non è una merce che si blocca alla frontiera.
Internet ha bisogno di regole base, che in buona parte già ha, indispensabili al suo funzionamento e alla sua più ampia possibile fruibilità: d’altronde internet è anche la denominazione del protocollo tecnico che ne permette l’esistenza come infrastruttura, ovvero una serie di regole a tutela della più ampia accessibilità, progettate in ambito militare per condizioni limite come quelle di un conflitto mondiale. Gli utenti di internet, specie i più giovani, hanno bisogno di essere protetti e tutelati. Questa necessità è identica a quella garantita da qualsiasi legge e ordinamento di uno stato moderno. Quindi non esiste un bisogno di leggi speciali, ma semplicemente l’esigenza di sapersi dotare di capacità organizzativa e tecnologica atta a contrastare adeguatamente fenomeni preesistenti che oggi utilizzano anche le nuove tecnologie. In Italia questa capacità di indirizzo è molto poco diffusa. Gli organi preposti all’osservanza delle norme cogenti hanno scarse risorse quando si parla di “information compliance”. L’Italia è l’unico paese G8 a non essere dotato di un organo/autorità centrale di supervisione, controllo e garanzia sulle politiche, i diritti e le libertà fondamentali della rete.
La raccomandazione “bipartisan” del Parlamento europeo destinata al Consiglio sul rafforzamento della sicurezza e delle liberta fondamentali su Internet (Lambrinidis) dimostra come questo tema sia di stretta attualità nell’agenda politica di molti paesi.
Il Rapporto Medina Ortega sul Diritto d’Autore che voleva raccomandare all’UE l’adozione esplicita della risposta graduata (“3-strikes-and-yoùre-out”) mutuando de-facto la c.d. “dottrina Sarkozy” è stato bocciato.
Tale dottrina è stata ripresentata all’interno del “pacchetto telecom” e nuovamente bocciata dall’euro-parlamento: la risposta graduata è stata categoricamente bandita dall’Europa, benché tentativi di resuscitarla nella terza lettura del “telecoms package” siano ancora d’attualità.
Ma il Parlamento Europeo è andato oltre è ha introdotto un nuovo principio fondamentale nell’acquis comunitario: internet è diventato un diritto fondamentale per i cittadini europei.
In un mondo dove con internet si lavora, si accede ai servizi sanitari, si vive socialmente, si comunica e si esercitano le libertà civili, è oramai chiara la pericolosa acrobazia giuridica della risposta graduata.
Internet ha semmai bisogno di ulteriori garanzie: uno dei principi irrinunciabili della rete che va urgentemente sancito in via normativa è quindi quello della neutralità della rete, anche affinché l’opzione, da alcuni sostenuta, dell’intervento repressivo speciale per la rete (ossia ad opera di autorità non giurisdizionali), non sia la dannosa scorciatoia al principio della responsabilità personale degli atti compiuti, scorciatoia alternativa a rimedi più congrui nell’alveo costituzionale delle tutele giudiziarie.
È necessario impegnare la Commissione Europea affinché il nuovo “pacchetto telecom” preveda espressamente il principio della neutralità della rete. Del resto il Governo degli Stati Uniti ha già iniziato a tutelare questo principio fondamentale della rete, come anticipato dalle parole di Julius Genachowski, neo-presidente dell’autorevole Federal Communications Commission e dall’avvio dell’iniziativa”OpenInternet” per preservare una rete aperta e libera.
Il vero rischio in Italia è l’effetto di marginalizzazione del sistema paese digitale. Già oggi gli investimenti esteri nell’internet italiana e nell’industria nazionale informatica e dei media digitali sono a zero. La giurisdizione italiana su internet è limitata, e non esiste server di stato che possa essere schierato alla frontiera. Qualsiasi tentativo repressivo basato su leggi speciali per internet sopprimerebbe definitivamente l’asfittica industria italiana in cui operano prevalentemente le giovani generazioni, esponendo definitivamente il paese alle vere leggi che funzionano su internet: quelle dei “big media” esteri che hanno l’innovazione, le risorse finanziarie, umane, tecnologiche e il supporto dei rispettivi sistemi-paese.
I termini “pirateria digitale” e “pirateria multimediale” utilizzati nel Decreto istitutivo del “Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale” (CPDM) possono apparire troppo semplici e riduttivi: quali sono i veri settori coinvolti? Quali i veri comportamenti a rischio? Quali le future conseguenze per le giovani generazioni? Come ricordato di recente sul Corriere della Sera: “storicamente il riferimento normativo a cui si sono appellati i produttori di tecnologie utilizzate per copie non autorizzate era il caso Betamax. Quando la Sony nel 1975 lanciò il videoregistratore, le case cinematografiche, in particolare Universal e Disney chiesero di vietarne la vendita. Il caso arrivò nel 1984 alla Corte suprema la quale stabilì che una società non poteva essere ritenuta responsabile per aver creato una tecnologia. Nel sistema anglosassone basato sui precedenti questa decisione ha consentito a molte altre tecnologie, tra cui personal computer, masterizzatori e fotocopiatrici, di resistere agli attacchi dei proprietari dei contenuti”. È necessario in conclusione affrontare distintamente ma in modo coordinato:
1. la protezione del diritto d’autore e i connessi limiti alla diffusione della cultura digitale prodotta soprattutto dalle nuove generazioni di autori e della nuova conoscenza condivisa: occorre riformare il ruolo della SIAE, ancora improntato a modelli antecedenti l’era della rete ed adattarlo ad un contesto di crescenti conflitti d’interesse tra autori nei nuovi media ed editori tradizionali;
2. la governance di Internet nel rispetto dei principi fondamentali della rete, che ne delimitano la funzione stessa di servizio universale e diritto fondamentale, ormai sancito dal Parlamento Europeo, ma non ancora sufficientemente riconosciuta nell’ordinamento italiano e le sue nuove grandi evoluzioni che impattano e impatteranno profondamente sulla società, l’economia e la politica. Il “Social networking” e la convergenza media/tv, con la connessa necessità di nuove politiche dei media (specialmente RAI) ci deve spingere a guardare già oltre il digitale terrestre, tecnologia ponte destinata per lo più alle generazioni meno legate ad internet. Occorre ragionare subito e solo su contenuti per internet facendo in modo che RAI già pianifichi la migrazione integrale della propria programmazione verso internet cui sarebbe già oggi tenuta, in ragione del denaro pubblico che riceve.
Se sono stati investiti fiumi di denaro per la tecnologia-ponte perché non ci si decide ad investire per le nuove generazioni che già – come ci rivelano le statistiche – guardano sempre meno la TV? L’Internet delle cose (smart chips/RFID) ci porta dall’ante-litteram dei telefonini tracciabili alla sorveglianza pervasiva e ubiqua, considerando che, tra pochi anni, tutti i nostri oggetti saranno collegati ad internet e saranno controllati da internet. Il “Behavioural advertising” (Pubblicità basata sul comportamento degli utenti), è poi la punta dell’iceberg di tecnologie molto più pervasive di spionaggio e profilazione di cui si parla poco e su cui le autorità nazionali hanno le armi spuntate. Lo stesso Garante per la Privacy non ha giurisdizione su internet.
Chi controlla? Iniziamo ad occuparcene in Italia, il Governo potrebbe dar vita ad una commissione di garanzia per i diritti di internet composta ai più alti livelli tecnologici e scientifici per gettare le basi di un presidio dei diritti fondamentali inalienabili di internet da cui iniziare ad elaborare, come primo passo, una “carta” con rango di legge. Inoltre, la Commissaria europea Reding ha recentemente auspicato l’introduzione di un responsabile europeo per la cyber-sicurezza. L’Italia dovrebbe quindi dotarsi di un organismo per la cyber-sicurezza capace di raccordarsi alle strutture già esistenti negli altri paesi europei e al futuro omologo ente europeo, per la prevenzione e la pianificazione tecnico-istituzionale di tutte le vere minacce alla sicurezza internet: dal contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo, alla protezione delle infrastrutture critiche nazionali. In questa sede tecnica si potrebbe finalmente affrontare con la giusta competenza e senza scorciatoie legislative il tema delle necessarie risorse e delle giuste misure di presidio e controllo, anche per la tutela della proprietà intellettuale su internet, a supporto dell’attività di contrasto che è e deve restare dei preposti organi giurisdizionali. La priorità deve essere la capacità dello stato di far fronte a tutte le nuove sfide di cyber-sicurezza, di cui la pirateria digitale è solo una parte: esigenze o opzioni di sicurezza raccomandate non possono prevalere o avere una corsia preferenziale per mere finalità economiche di gruppi d’interesse, neanche su internet. Il tema delle cifre e delle statistiche economiche associate alle varie cyber-minacce, pirateria inclusa, deve poi essere affrontato da organismi indipendenti.
Tale auspicato organismo nazionale per la cyber-sicurezza potrebbe ad esempio raccordarsi con l’ISTAT per dare all’esecutivo delle cifre attendibili e non di parte.
In conclusione, lo svolgimento di attività illegali a mezzo delle rete internet è un fenomeno direttamente proporzionale alla diffusione e capillarità della stessa, ma non è certo rapportabile con un nesso di causa-effetto. La violazione del diritto d’autore su internet è una parte dell’illegalità digitale, assieme a tante altre fattispecie di illecito amministrativo o reato penale. Qualsiasi azione di tutela legittima degli interessi e diritti degli autori ed editori, rischia, tuttavia, di sconfinare oggigiorno ampiamente nelle problematiche della “governance” e dei giusti contrappesi con la tutela dei principi fondamentali della rete.
Come già avviene nelle altre nazioni del G20 e nei paesi più sviluppati, diviene fondamentale anche per l’Italia dotarsi degli strumenti adeguati ed affrontare senza scorciatoie e nei modi opportuni i grandi temi legati alla nuova era della rete.
Il Capo di Gabinetto del Ministro della Gioventù
On. Cons. Luigi Bobbio