Non siamo ancora un Paese per Internet

Non siamo ancora un Paese per Internet

di Massimo Mattone - Addio agli 800 milioni promessi per abbattere il digital divide. La sensazione è che il divide sia innanzitutto culturale. E che aumenti sempre più la distanza tra chi governa la Rete e chi la abita
di Massimo Mattone - Addio agli 800 milioni promessi per abbattere il digital divide. La sensazione è che il divide sia innanzitutto culturale. E che aumenti sempre più la distanza tra chi governa la Rete e chi la abita

Milano – C’è qualcosa di paradossale nel susseguirsi degli eventi di questi ultimi giorni.  

Martedì 3 Novembre, ore 9:30
Apre i battenti lo IAB Forum Milano 2009 . Un grande successo di pubblico ed espositori per quello che ormai in molti – a torto o a ragione – considerano uno degli eventi Internet più importanti dell’anno.  E, in effetti, di Internet si parla a 360 gradi. Non solo di advertising online, insomma, come a prima vista si potrebbe ritenere.

E allora, come vanno le cose? Chi e cosa frena la Rete in Italia?
Beh, chi ha avuto modo di seguire i tanti convegni in agenda, avrà notato come uno dei temi dominanti dello IAB 2009 sia stato quello della banda larga . Il messaggio: se non c’è banda a sufficienza, non si fa innovazione. Senza innovazione, niente competitività. E niente nuovi posti di lavoro.
È stato il vero tormentone. Tutti a sgolarsi che la chiave del problema è proprio qui: il Governo deve investire di più su Internet e banda larga . Tutti felicemente d’accordo.

Una voce per tutti, quella dell’onorevole Paolo Gentiloni (già Ministro delle Comunicazioni e attuale Responsabile Comunicazione del PD). Di certo, non il primo arrivato in quanto a conoscenza di Internet e nuove tecnologie. Due di quelli che lui chiama “i tre slogan per la Politica” sono dedicati proprio a questi aspetti. Il primo: ” Completare “. Per prima cosa la Politica, dice l’ex Ministro delle Comunicazioni, “deve dare a tutti la possibilità di avere l’accesso a Internet”. Magari anche non veloce, a banda media, ma deve darla davvero a tutti. Il secondo: ” Accelerare “. Puntare dritto, cioè, “sulle reti di prossima generazione e sulla fibra ottica”. Magari iniziando dalle aree metropolitane a più alta densità del Paese. Il terzo: ” Lasciare in pace la Rete “. Punto importantissimo ma… per ora, appunto, lasciamolo in pace.

E torniamo alla banda larga e all’accesso a Internet. Qualcuno ( Riccardo Luna , direttore di Wired Italia e moderatore della tavola rotonda “Il futuro dell’economia digitale in Italia”) osa chiedere a Gentiloni: “Ma perché voi politici non fate casino” per mettere seriamente al centro del Governo la banda larga, il digital divide e le nuove tecnologie? Domanda alla quale, in realtà, rispondono in molti. Ma, in fin dei conti, il coro è unanime (e non solo in questa tavola rotonda): i soldi ci sono, si tratta solo di sbloccarli . Sempre quelli, sì: i famosi 800 milioni accantonati per lo sviluppo della banda larga . Quelli del tormentone, insomma. Allo IAB pareva fosse la chiave di tutto.

Ok ma, sbloccarli da dove? Da lì, dove sono parcheggiati da tempo. Al CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica). E si crede così tanto che il problema sia davvero questo che si invitano i presenti in sala (e quelli collegati in streaming) a scrivere in coro al CIPE, subissarlo di mail, protestare, telefonare. Far andare in tilt i centralini. “Se pure ce li hanno i centralini al CIPE”, osserva scherzoso l’onorevole Gentiloni.  
Ma da scherzare, in realtà, c’è davvero poco. Per capirlo, basta andare al giorno dopo.

Mercoledì 4 novembre, ore 12:52
(Reuters) : “Gli 800 milioni a favore della banda larga saranno resi disponibili dal governo solo una volta certi del superamento dell’emergenza dettata dalla crisi economica. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta: i soldi stanno lì – ha spiegato Letta – se le cose miglioreranno e si potrà uscire dalla crisi la prima delle priorità ordinarie sarà la banda larga. La faremo quando saremo sicuri che quelle risorse non debbano essere destinate ad altri interventi per occupazione o altro”.

Ma come? Qui qualcosa davvero non quadra… Solo ieri, a uno degli eventi più importanti per Internet, il fior fiore dei relatori, degli esperti di settore e dei politici – questi ultimi, probabilmente, più per trovare un capro espiatorio che per profonda convinzione personale – predicava che il problema era tutto lì. Una formalità! Che, sbloccati quei soldi, Internet e la tecnologia sarebbero potuti ripartire alla grande anche qui da noi. Soldi che sarebbero stati stanziati a breve. Solo ieri l’aveva assicurato a gran voce (non la sua, quella dello speaker che leggeva la sua lettera, lui non era presente per… altre priorità di Governo) Paolo Romani. Mica uno qualunque: il viceministro allo sviluppo economico con delega alle Comunicazioni.

E oggi? Contrordine! Prima usciamo dalla crisi e poi – semmai – vi daremo i soldi. Ora occorre pensare ad altri interventi, legati per esempio all’occupazione.
Ciò è in qualche modo paradossale. Come se Internet – e tutta l’ICT che ruota attorno alla Rete e all’innovazione digitale che ne deriva – non fosse essa stessa capace di generare occupazione e creare PIL.

Nessuno nega – intendiamoci – che vi siano altre urgenti priorità per il Paese. E che solo con quegli 800 milioni, probabilmente, si sarebbe fatto poco o nulla di concreto per risolvere i veri problemi della Rete, dell’ICT e della capacità di innovare del Paese. Ma si sarebbe potuto e dovuto almeno dare un segnale . Dimostrare ai cittadini che Internet rappresenta davvero una delle priorità del Governo per il nostro Paese. E che non si sottovalutano le enormi potenzialità della Rete proprio in qualità di traino dell’innovazione e rilancio del sistema Paese attraverso la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro e di tutta una serie di attività legate al Web e alle nuove tecnologie.

Si è invece dato l’ennesimo segnale negativo: quella che è emersa – ancora una volta – è la crescente distanza e la scarsa attenzione della Politica verso Internet e le sue dinamiche.
Magari senza malafede. Ma – che è peggio ancora – a causa di un pauroso divide culturale che, di fatto, separa chi abita la Rete da chi la governa.
“Non siamo ancora un Paese per Internet” aveva detto Marco Pierani di Altroconsumo – sottolineando questi aspetti – nella tavola rotonda di Mercoledì. Come dargli torto, il giorno dopo?

Massimo Mattone

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Pubblicato il
6 nov 2009
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