Ma quale rapina: io ero su Facebook

Ma quale rapina: io ero su Facebook

Un ragazzo di Brooklyn non trova le frittelle per fare colazione e lo scrive sul social network in blu. Nello stesso istante in cui la polizia sostiene stesse rapinando un negozio
Un ragazzo di Brooklyn non trova le frittelle per fare colazione e lo scrive sul social network in blu. Nello stesso istante in cui la polizia sostiene stesse rapinando un negozio

Da quando si è inserito con veemenza nella vita social dei netizen, Facebook ha dato origine ad accadimenti tra i più svariati e bizzarri. Scenate di gelosia per un’amicizia di troppo, divorzi e licenziamenti a causa di status compromettenti. Il social network in blu è entrato persino nelle cronache locali metropolitane, utilizzato da ladri incapaci di celare alla propria pletora di contatti le ultime gesta in fatto di rapine. Un nuovo caso ora è emerso, diverso da tutti gli altri: aggiornare lo status su Facebook può salvare dal carcere .

La storia è iniziata lo scorso 17 ottobre, precisamente alle 11.49 di una comune mattina nel quartiere di Harlem a New York. Un ragazzo di 19 anni, Rodney Bradford, si apprestava a fare la sua colazione quando ha scoperto con orrore che la credenza del padre era priva di pancake. “Dove è finito il mio pancake?”, si è chiesto il ragazzo, decidendo di lanciare immediatamente un allarme su Facebook, per condividere la triste assenza delle tradizionali frittelle statunitensi. Alle 11.49, Rodney Bradford pensava al pancake che gli avrebbe salvato la vita .

Il ragazzo, infatti, è stato arrestato il giorno dopo per sospetta rapina a mano armata in un negozio di Brooklyn, dove vive con la madre. L’azione criminosa era stata compiuta proprio alle 11.49 della mattina del 17 ottobre. Evidentemente impossibile: Rodney Bradford stava cercando disperato il pancake. Così, la domanda “Dove è finito il mio pancake?” è diventato il suo principale e più che efficace alibi per dimostrare la completa estraneità alla rapina a mano armata.

Robert Reuland, avvocato del ragazzo, ha contattato il team di Facebook al momento dell’arresto, ottenendo la più preziosa delle informazioni: l’aggiornamento di status è giunto da un computer situato all’interno di un appartamento di Harlem, precisamente quello del padre di Bradford. Questo è stato sufficiente per dimostrare l’innocenza del ragazzo, facendo cadere ogni accusa.

“A mio avviso, si tratta del primo caso in cui un update di Facebook viene utilizzato come alibi – ha commentato John Browning, avvocato di Dallas esperto di diritto e nuove tecnologie – Vedremo più casi del genere, dal momento in cui i social network sono diventati così importanti nelle nostre esistenze”. Secondo Browning, le reti sociali sono state usate finora soprattutto come prova di reato. Il legale ha citato il caso di un altro ragazzo statunitense, arrestato dalla polizia dopo aver effettuato il login a Facebook sul computer della casa che stava svaligiando.

Reuland, parlando del caso che ha coinvolto Rodney Bradford, ha ammesso la possibilità che chiunque avrebbe potuto aggiornare il profilo Facebook se in possesso delle credenziali d’accesso del ragazzo. Ma ha poi aggiunto che questa sarebbe una pratica degna del Dottor Male , impossibile da pensare per virgulti di così tenera età.

Non dello stesso avviso Joseph Pollini, professore presso il John Jay College of Criminal Justice , che ha illustrato il suo personale punto di vista: il caso non doveva chiudersi così velocemente. “Con user name e password chiunque avrebbe potuto scrivere quella frase – ha commentato Pollini – Gli utenti Internet più intelligenti sono proprio i ragazzi, dal momento che conoscono la Rete meglio di altri e che la vivono per molto più tempo”. Bradford, nel frattempo, ha fatto sapere di non poter più fare a meno dei pancake.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 12 nov 2009
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