Due notizie, fra quelle della settimana appena conclusa, mi paiono in qualche maniera silenziosamente collegate. La prima è quella della preview di Google Chrome OS, il tanto atteso “sistema operativo” di Google; la seconda, quella della presentazione dei dati dell’ VIII rapporto del Censis sullo stato delle Comunicazioni in Italia.
Nel caso di Chrome OS per ora la montagna sembra aver partorito il classico topolino. Dopo aver letto per anni che Google si apprestava a spazzare via la concorrenza di Windows (e in misura proporzionalmente minore di Mac OSX) con un proprio sistema operativo alternativo, Chrome OS è, allo stato, una semplice estensione del web browser basata su Linux, capace di avviarsi in pochi secondi e di girare su macchine con modeste risorse hardware ma totalmente dipendente dalle applicazioni di Rete. Niente collegamento a Internet, niente sistema operativo. Nel caso della versione in qualche modo disponibile in rete in questi giorni, senza un collegamento alla Rete non è nemmeno possibile effettuare il login al sistema. Possiamo decidere se un ambiente software interamente basato sulla “nuvola” sia una grande delusione o una straordinaria anticipazione, in entrambi i casi siano per ora lontanissimi da qualsiasi idea di competizione con i sistemi operativi ai quali Google avrebbe dovuto spezzare le reni.
Del resto lo spostamento delle attività di computing sulla Rete è uno dei grandi percorsi che i visionari di Internet hanno annunciato già da molti anni. Prima ancora della idea stessa di software as a service di cui si parla molto da qualche anno a questa parte, veniva, quasi un decennio fa, l’intuizione di Larry Allison di Oracle sullo sviluppo dei network computer, una idea affascinante e preconizzata con grande precisione, che ha moltissimi punti di contatto con quanto sta accadendo oggi con i netbook e Chrome OS.
Varrà la pena di ricordare che, accanto a fantastici scenari legati alla immaterialità dei nostri dati sempre disponibili online, dentro scenari del genere si moltiplicano anche grandi, oggettivi rischi sulla nostra capacità di mantenere un efficace controllo su di essi.
Se già oggi gli archivi della mia casella di posta elettronica Gmail se ne stanno spezzettati dentro anonimi datacenter oltreoceano, che dire di Chrome OS, sistema operativo capace di “aggiornarsi da solo” senza nemmeno darsi il disturbo di avvisarmi, che non consente alcuna archiviazione di dati sul mio computer ma li spedisce tutti, opportunamente criptati, ad un sistema di storage online? L’elenco dei compromessi e delle rinunce che vengono chieste alla mia consolidata idea di personal computing in nome di alcune concessioni (velocità di boot, leggerezza, accessibilità delle informazioni ecc) rende per adesso il sistema operativo di Google una opzione remota, e l’idea stessa che tutto l’ambiente di cloud computing al quale affido i dati della mia presenza di Rete sia archiviato dal gigante dei servizi e della pubblicità online non aumenta il mio entusiasmo per l’operazione.
A questo punto forse qualcuno si chiederà cosa c’entra con tutto questo discorso l’VIII rapporto del Censis sulle Comunicazioni, curiosamente pubblicato lo stesso giorno della presentazione di Google Chrome OS.
Secondo i dati della ricerca, dal 2001 al 2009 l’utilizzo di Internet in Italia è aumentato solo del 26 per cento, raggiungendo oggi il 47 per cento della popolazione. Per riferirci al breve periodo, l’utenza complessiva di Internet nel nostro Paese è aumentata negli ultimi due anni del 2 per cento. L’altro dato significativo è che il 47 per cento degli italiani di cui stiamo parlando rappresenta la percentuale di cittadini che “accendono” Internet almeno una volta alla settimana.
Come a dire, per una volta possiamo starcene tranquilli: grosse implicazioni nazionali per la privacy dei cittadini legate al cloud computing all’orizzonte non se ne vedono.
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