LifeHand, la mano bionica

LifeHand, la mano bionica

E' italiano uno degli esperimenti più avanzati di interconnessione tra protesi artificiali e cervello umano. Il paziente controlla la mano bionica attraverso gli elettrodi applicati al sistema nervoso del braccio amputato
E' italiano uno degli esperimenti più avanzati di interconnessione tra protesi artificiali e cervello umano. Il paziente controlla la mano bionica attraverso gli elettrodi applicati al sistema nervoso del braccio amputato

Il 26enne italo brasiliano Pierpaolo Petruzziello ha perso l’avambraccio sinistro in un incidente d’auto ma ora, grazie al lungo lavoro dell’equipe della Scuola Sant’Anna di Pisa, ha potuto letteralmente “provare con mano” che cosa significhi “sentire” e controllare una protesi artificiale biomeccanica con il proprio sistema nervoso .

Non siamo ancora ai livelli del transumanesimo e della singolarità cibernetica continuamente evocata da Ray Kurzweil, ma i ricercatori che hanno condotto l’intervento al Campus Bio-Medico di Roma evidenziano come si tratti di una “prima volta” di una certa importanza. Per la prima volta il paziente è riuscito ad articolare movimenti complessi con una mano artificiale, e per la prima volta il paziente ha provato delle autentiche caratteristiche di sensibilità tipiche degli arti biologici naturali.

“Sembra quasi la stessa cosa di una mano reale”, ha commentato Petruzziello, i medici hanno stimolato le dita della protesi con gli aghi e il suo cervello ha recepito gli stimoli nervosi corrispondenti. La mano non è stata collegata direttamente al corpo del paziente, al contrario i ricercatori hanno provveduto a “installare” un sistema di elettrodi nel braccio amputato instaurando un contatto elettrico tra sistema nervoso e freddo metallo con l’anima elettronica.

Finanziato dall’Unione Europea per 3 milioni di dollari, il progetto “LifeHand” della Sant’Anna ha richiesto cinque lunghi anni per sopraggiungere al risultato finale e ha prodotto studi scientifici già pubblicati o in attesa di pubblicazione sulle riviste specializzate. Per contro, l’esperimento di “utilizzo” dell’arto biomeccanico è durato solo 1 mese e in questo lasso di tempo Petruzziello ha potuto – facendo affidamento su un alto livello di concentrazione – riprodurre movimenti complessi come afferrare un oggetto o esibirsi in gesti di insulto vari.

Appurato che è possibile connettere uomo e parte di macchina in un connubio che funziona, a ogni modo, la sfida che la scienza ha davanti a sé riguarda la possibilità di installare protesi artificiali neuro-controllate in pianta stabile : gli elettrodi dovranno raggiungere un livello di affidabilità e perfezionamento tali da poter durare all’interno del braccio molto più a lungo di un mese. In tal senso i risultati dell’esperimento con Petruzziello hanno dato risultati incoraggianti, dicono i ricercatori, visto che una volta rimossi gli elettrodi non presentavano alcun genere di danno e avrebbero certamente potuto continuare il proprio lavoro per un periodo di tempo superiore.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
3 dic 2009
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