YouTube non ha diritto di sfruttare economicamente la pubblicazione da parte dei suoi utenti di clip distillate dalla trasmissione Il Grande Fratello 10. YouTube deve provvedere autonomamente alla rimozione di tutti i video postati dagli utenti, tutti i contenuti che contengano immagini statiche o dinamiche della trasmissione, dagli estratti del programma passando per i servizi giornalistici e per i mashup creati dai cittadini della rete. L’ordinanza della nona sezione civile del Tribunale di Roma, nel quadro del contenzioso in atto tra RTI e la piattaforma di sharing, parla chiaro: il Grande Fratello non deve trovare spazio su YouTube, YouTube trae frutto dai contenuti che consente ai suoi utenti di pubblicare e per questo non può esimersi dal ruolo editoriale del controllo . È stato “riconosciuto – annuncia Mediaset – il diritto d’autore degli editori anche su Internet”. “Faremo ricorso”, promette Google.
L’ ordinanza , annotata, è stata resa pubblica attraverso il sito di TGCOM : il Tribunale reagisce alla richiesta da parte di RTI di un provvedimento cautelare. Una richiesta circostanziata per quanto attiene la trasmissione ma non declinata in espliciti riferimenti ai contenuti postati dagli utenti : RTI si riferisce a tutte le immagini dell’edizione del reality show Il Grande Fratello in onda in questa stagione televisiva. Ci sono utenti di YouTube che fanno rimbalzare sulla piattaforma di sharing ogni minuto di trasmissione, RTI ne ha rilevato la pubblicazione sistematica con una perizia svolta tra il 26 e il 27 ottobre: si tratta, secondo le analisi di Mediaset, di “oltre 542 minuti di emesso”, visionati un totale di 1.202.651 di volte.
RTI ha chiesto al tribunale di emanare un provvedimento d’urgenza in cui si intimasse alla Grande G “la immediata rimozione dai propri server e la conseguente immediata disabilitazione all’accesso di tutti i contenuti riproducenti – in tutto o in parte – sequenze di immagini fisse o in movimento relative al programma ‘il grande fratello'”. Dovrebbe altresì essere inibito il reiterarsi della violazione. Il tribunale ha accolto entrambe le richieste e ha passato la palla a Google. RTI chiedeva inoltre diecimila euro per ogni minuto di trasmissione riversata dai cittadini della rete sui server di YouTube, 10mila euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il tribunale ha in questo caso temporeggiato: sarebbero in corso delle trattative, spiega il giudice, “non appare opportuno, allo stato, fissare la penale richiesta per l’eventuale ritardo”.
RTI, si spiega nell’ordinanza, denuncia che Google viola i diritti di proprietà intellettuale sul marchio e sul logo “Grande Fratello”, viola i diritti esclusivi di sfruttamento dei contenuti con la mediazione di Internet che spettano a Mediaset. Una situazione che, il Tribunale così sintetizza e accoglie le accuse di Mediaset, espone RTI “a danni gravi ed irreparabili per il rischio di perdere ‘quote di mercato’ con un notevole sviamento di clientela per il programma reality show più famoso e seguito della TV italiana, dal momento che ciò che gli utenti trovano sui siti delle resistenti a titolo gratuito non lo andranno a cercare a pagamento sulle utenze pay tv di RTI”. RTI, a sostegno della propria accusa, sottolineava che la posizione di Google non è tutelata dal diritto di cronaca, a differenza di quanto era stato riconosciuto nel mese di marzo dal tribunale di Milano in occasione della richiesta di rimozione da Corriere.it di clip analogamente estratte da Il Grande Fratello.
Google aveva tentato di difendersi sottolineando il proprio ruolo di inerte fornitore di spazio a favore degli utenti , aveva tentato di contestare a RTI l’ impossibilità di sottoporre a controllo tutti i contenuti postati dagli utenti, aveva mostrato all’autorità giudiziaria che è dotata di una policy, che invita gli utenti alla responsabilizzazione, che da tempo mette disposizione degli strumenti come Video ID che consente ai detentori dei diritti di evitare il perpetuarsi delle violazioni, ed eventualmente di proiettarsi in un modello di business che potrebbe portare loro dei frutti. Si tratta di meccanismi modellati sulla direttiva europea sul commercio elettronico, recepita in Italia con il dlgs 70/2003 : l’intermediario è responsabile dei contenuti pubblicati dagli utenti nel momento in cui queste violazioni vengono segnalate.
Il tribunale ha però respinto le argomentazioni di Google: la condotta della piattaforma sarebbe “così palesemente e reiteratamente lesiva dei diritti” che “non è sostenibile la tesi delle resistenti sulla presunta assoluta irresponsabilità dei provider che si limiterebbe a svolgere l’unica funzione di mettere a disposizione gli spazi web (…) e sulla legittimità di avere un ritorno economico – escludendo il fine commerciale – connesso al proprio servizio in mancanza di un obbligo di controllarne i contenuti illeciti e di disabilitarne l’accesso”.
Google e YouTube, secondo il giudice, si preoccupano di “organizzare la gestione dei contenuti video, anche a fini di pubblicità”: per questo motivo già agiscono alla stregua di un editore, e dovrebbero agire alla stregua di un editore anche in materia di responsabilità sui contenuti. Google e YouTube, aggiunge il tribunale, “nonostante le ripetute diffide e le azioni giudiziarie iniziate da RTI e la consapevolezza della sua titolarità dell’opera hanno continuato la trasmissione del Grande Fratello – visibile 24 ore su 24 accedendo al servizio a pagamento offerto da RTI – nei loro siti internet, programmandone e disciplinandone la visione ove si consideri che è possibile in tali siti anche scegliere le singole parti di trasmissione (un giorno, un episodio particolare) ad ulteriore, anche se non necessaria conferma, della consapevolezza della violazione dei diritti”. Il tribunale attribuisce in sostanza a YouTube il ruolo di organizzare e categorizzare i contenuti a favore degli utenti: organizzazione e categorizzazione scelta dagli utenti che hanno caricato le clip, gli hanno attribuito un titolo, le hanno descritte a favore delle platee online. Google, secondo i giudici, ha una diretta responsabilità nella segmentazione delle clip, trae vantaggio dall’advertising che è affiancato alle clip, gioca il ruolo di editore. Inoltre, aggiungono i giudici, dispone di regole che consentono la rimozione dei contenuti pedopornografici, si è dotato di una policy, si riserva il diritto di “controllare i contenuti”: per questo motivo dovrebbe vigilare in maniera autonoma sulle violazioni del diritto d’autore. Si tratta di una decisione in netta controtendenza rispetto a casi precedenti, quali quello che ha visto opposti Veoh e Universal per motivazioni analoghe: in quel caso un tribunale californiano aveva riconosciuto il ruolo di mero intermediario della piattaforma. Si tratta di una decisione che si discosta altresì da quella emessa da un tribunale francese nei confronti di Dailymotion: la piattaforma non è responsabile per i contenuti pubblicati dai propri utenti, ma viola la legge nel momento in cui, in seguito a circostanziate segnalazioni da parte del detentore dei diritti, decide di non procedere alla rimozione.
L’ordinanza del tribunale di Roma si differenzia profondamente anche da quella emessa da un tribunale spagnolo, in un caso che ricalca in tutto e per tutto quello italiano. Il contenzioso vedeva schierati su fronti opposti Telecinco/Mediaset e YouTube: il tribunale, pur avendo imposto alla piattaforma la cessazione immediata della diffusione online di contenuti protetti da diritto d’autore, ha stabilito che Telecinco dovesse segnalare con precisione i contenuti che YouTube avrebbe dovuto rimuovere. Una procedura, ricordava in quell’occasione YouTube, che non è necessario passi da un tribunale : la piattaforma, ricevuta una notifica da parte del detentore dei diritti, avrebbe in ogni caso agito per rimuovere il contenuto in questione.
Ma il giudice non chiede a RTI di identificare e segnalare i contenuti : Google dovrebbe provvedere autonomamente a rintracciare i video che si scontrano con la legge, a rimuoverli, e ad assicurare che non si verifichino ulteriori violazioni per quanto attiene alle immagini di una intera trasmissione. Google, spiega però a Punto Informatico l’European Policy Counsel Marco Pancini , non dispone degli strumenti che il tribunale vorrebbe attribuirgli. “A Mediaset è già stata offerta la soluzione – ricorda – si tratta dello strumento VideoID, già usato da RAI”. Google, nel rispetto della direttiva sul commercio elettronico, garantisce il meccanismo di notice and takedown : la rimozione dei contenuti avviene solo su segnalazione. Offre inoltre ai detentori dei diritti la possibilità di tracciare i contenuti, di prevenire il ripetersi delle violazioni, di mettere eventualmente a frutto i video caricati dagli utenti: ma si tratta di uno strumento che funziona solo se il detentore dei diritti segnala la presenza dei propri contenuti, e non è possibile anticipare le violazioni di contenuti non identificati in precedenza da chi detiene i diritti. “Un sistema di filtraggio e di monitoraggio come quello prescritto nella sentenza – afferma Pancini – non esiste”.
Mediaset non nasconde la propria soddisfazione, in un comunicato rimbalzato integralmente da TGCOM : “L’ordinanza del Tribunale di Roma fornisce indicazioni chiare sul ruolo dei siti come Youtube. Non si tratta di semplici ‘provider di spazi web’, ma di veri e propri editori che devono rispondere alle regole come tutti gli altri media. Anche Youtube – sottolinea Mediaset – ha quindi la responsabilità dei contenuti che sfrutta pubblicitariamente”. E come editore Mediaset si rivolge a YouTube: l’invito a stringere accordi per l’acquisto di contenuti marchiati RTI è esplicito.
Google è aperta a collaborare con gli strumenti che ha a disposizione: il diritto d’autore, ribadisce Pancini a Punto Informatico , è un pricipio che non si discute, e Google non discute sul diritto di RTI a chiedere la rimozione di specifici contenuti postati illegalmente dagli utenti. Google batterà però la strada del ricorso: per poter procedere alla rimozione è necessario che anche RTI cooperi, segnalando in maniera precisa le avvenute violazioni.
Mediaset, da parte sua, in un clima in cui il diritto d’autore si sovrappone esplicitamente ed implicitamente al diritto del cittadino ad esprimersi, e in un momento in cui la libertà di espressione online è argomento di fervente dibattito , tiene a precisare che “l’ordinanza di oggi non censura Internet ma ne allarga i confini”.
Gaia Bottà