Facebook spegne la macchina del suicidio

Facebook spegne la macchina del suicidio

Un'applicazione consentiva di ripulire ed eliminare il proprio profilo. Violando però, a parere di Facebook, le condizioni di utilizzo del servizio. Il social network in blu non ha avuto pietà
Un'applicazione consentiva di ripulire ed eliminare il proprio profilo. Violando però, a parere di Facebook, le condizioni di utilizzo del servizio. Il social network in blu non ha avuto pietà

Conducevano gli utenti saturi di socializzazione virtuale ad una silenziosa e veloce dipartita assistita dei propri account Facebook. A Palo Alto i gestori del social network non l’hanno presa bene e hanno bloccato Web 2.0 Suicide Machine , applicazione che andava oltre il semplice delete del profilo: procedeva innanzi tutto alla rimozione delle amicizie e delle varie applicazioni attivate nel corso del tempo richiedendo la cancellazione in un secondo momento.

Gli aspiranti suicidi si vedevano resettato il proprio account come se stessero muovendo i primissimi passi su Facebook, con l’unica differenza di non aver intenzione di rintracciare ex compagni di scuola o di completare test di foggia varia: la fuga dal social network è stato il pensiero di quei 500 utenti che sono riusciti ad utilizzare l’applicazione prima che il suo IP di riferimento venisse bloccato, rendendola così inservibile.

Facebook per ora è l’unico social network che ha sgominato Web 2.0 Suicide Machine: Twitter, LinkedIn e MySpace non sembrano preoccuparsene, almeno per ora. Le ragioni addotte dai responsabili di Palo Alto si riferiscono alla policy del portale in blu, che impedisce agli utenti di rivelare a terzi i dati necessari per eseguire il login: la macchina del suicidio per funzionare richiede username e password del suicidando.

“Non violiamo le condizioni d’uso di Facebook – ha dichiarato dal canto suo Gordan Savicic, responsabile di Web 2.0 Suicide Machine – offriamo solamente un servizio agli utenti stufi di Facebook”, senza condividere password o dati personali, né mettere a rischio la sicurezza dell’account.

Giorgio Pontico

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Pubblicato il 5 gen 2010
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