Turchia, migliaia di siti al bando

Turchia, migliaia di siti al bando

Ai netizen turchi non viene permesso di fruire appieno di quanto veicolato dalla Rete. Per gli attivisti è ora che il vento cambi
Ai netizen turchi non viene permesso di fruire appieno di quanto veicolato dalla Rete. Per gli attivisti è ora che il vento cambi

Ad oggi il governo turco impedisce ai suoi cittadini l’accesso a circa 3700 siti Internet attraverso la legge 5651, il cui articolo 8 garantisce al legislatore il potere di censurare contenuti che in qualsiasi modo offendano la memoria di Mustafa Kemal Atatürk, padre fondatore della repubblica turca. L’applicazione di questa norma, la cui stesura originale risale al 1951, è stata giudicata più volte come un ostacolo alla libertà di espressione.

L’ultima denuncia in ordine di tempo proviene dall’ Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), uno dei gruppi di salvaguardia dei diritti umani più estesi a livello globale. Secondo un suo rappresentante, Milos Haraszti, la Turchia dovrebbe assolutamente rivedere la propria politica di controllo della Rete, allentando così la propria morsa censoria spesso giustificata appellandosi alla legge 5651: “Nella sua forma corrente – ha spiegato Haraszti – questa normativa non solo limita la libertà di espressione ma limita fortemente l’esercizio da parte dei cittadini del diritto all’informazione”.

Haraszti continua sottolineando come il governo di Ankara sia solito approfittare dell’ampio raggio d’azione di questa legge per oscurare i siti latori di contenuti non graditi: il nucleo principale del decreto, ossia la tutela della figura di Atatürk, passerebbe quindi in secondo piano, a favore di un ferreo monitoraggio delle informazioni recuperabili online.

La risposta di Ankara si è concretizzata in una dichiarazione di un membro del ministero dei trasporti e delle comunicazioni, il quale si è limitato a comunicare che “la Turchia garantisce accesso illimitato a tutti gli strati della società” e che “in questo campo è al di sopra della media europea”. L’invettiva dell’OSCE non si ferma e Haraszti prosegue bollando come “arbitrarie e politiche” alcune delle motivazioni addotte dall’esecutivo turco nel mettere in atto veri e propri blocchi di stato come già accade in Cina e in Iran.

L’episodio più evidente dell’atteggiamento repressivo della Turchia è quello che sta avendo come co-protagonista YouTube, il portale di video sharing che dal 2007, anno in cui la 5651 è stata emendata per poter agire anche in Rete, ha subito diversi periodi di oscuramento, l’ultimo dei quali ancora in atto: un’altalena spinta dai media internazionali, blogger compresi , da una parte, e dai legislatori di Ankara dall’ altra .

Giorgio Pontico

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Pubblicato il 20 gen 2010
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