Jammie, il processo non finisce qui

Jammie, il processo non finisce qui

Le major, dopo lo sconto voluto dal giudice, propongono un accordo ancora più ribassato a patto di portare il caso fuori dal tribunale. La mamma rifiuta e va avanti
Le major, dopo lo sconto voluto dal giudice, propongono un accordo ancora più ribassato a patto di portare il caso fuori dal tribunale. La mamma rifiuta e va avanti

Il processo a Jammie Thomas-Rasset, il primo a ospitare un condivisore sul banco degli imputati, non si è ancora concluso. La donna, rea di aver violato il diritto d’autore ospitando 24 brani nella cartella condivisa di Kazaa, era già stata condannata a pagare: a un certo punto del processo doveva 1,92 milioni di dollari alle major. Un brano condiviso, 80mila dollari da restituire all’industria.

Ma quel risarcimento milionario è stato definito sproporzionato e incostituzionale dai legali della donna. E tale l’ha riconosciuto nei giorni scorsi il giudice Davis, incaricato di valutare il caso: una cifra “eccessiva al punto da scuotere la corte”. La giuria ha quindi fissato una somma ridimensionata: 54mila dollari, 2.250 dollari per ciascun brano. Somma che il giudice Davies non ha negato essere in ogni caso alta. Diventando comunque il primo giudice ad aver abbassato l’ammontare di danni dovuti in un caso di infrazione di copyright, in base al principio che la cifra stabilita non avesse alcuna relazione con i danni realmente subiti.

A questo punto l’industria dei contenuti si accontenterebbe , per chiudere la questione fuori dalle vie legali, di 25mila dollari : patteggiamento ritenuto ragionevole dalle major che all’inizio avevano chiesto milioni. Si tratta di un ulteriore sconto che prevede però che venga anche annullata l’ultima decisione del giudice : per non creare precedenti di riduzione dei danni.

L’offerta, però, è stata rifiutata : il primo caso arrivato in tribunale di un individuo cui è contestata la condivisione arriverà alla sua fine naturale. È questa la scelta della donna, di cui i suoi avvocati spiegano le ragioni: “dimostra quello che abbiamo sempre creduto. Vogliono utilizzare il caso per spaventare chiunque volesse riprovarci in futuro, presentando richieste di risarcimento esorbitanti”.

E il rifiuto del patteggiamento, in effetti, significa che ci sarà un nuovo procedimento per stabilire la somma dovuta, nonché una nuova occasione per ribadire l’incostituzionalità della somma richiesta, ancora troppo elevata e quindi non proporzionale. Il rischio, tuttavia, è che l’industria dei contenuti ottenga l’annullamento dell’ultima decisione. Ma mamma Jammie punta in alto, mirando – stabilendo la necessità di dimostrare un legame tra danni causati e dovuti – ad abbassare di molto le richieste. Ha così ammonito le major: “sarete fortunati se riuscirete a provare che vi devo restituire più di 24 dollari”.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
28 gen 2010
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