Contrappunti/ iPad, controindicazioni

Contrappunti/ iPad, controindicazioni

di M. Mantellini - Un bugiardino da allegare al tablet. Un foglio informativo che chiarisce gli effetti collaterali derivanti dall'uso di massicce dosi di mela morsicata
di M. Mantellini - Un bugiardino da allegare al tablet. Un foglio informativo che chiarisce gli effetti collaterali derivanti dall'uso di massicce dosi di mela morsicata

Dopo il diluvio di commenti, prime impressioni, unboxing e differenti dissertazioni, non ci sono troppi dubbi che la metafora più adatta alla descrizione di iPad è quella del bivio. Possiamo decidere un percorso oppure un altro e non abbiamo molte idee su dove ci condurrà. Verso una nuova declinazione dell’oggetto computer? Verso la trasformazione di uno strumento di conoscenza in un gadget buono per le aziende? Oppure dentro un vicolo cieco dal quale torneremo indietro rapidamente?

Il cammino è la ragione del viaggio e fosse anche solo per questo varrà la pena comprarlo questo aggeggio: nel frattempo il punto centrale di tutta la discussione su iPad potrebbe essere contenuto nelle due parole citate da Cory Doctorow su Boing Boing : viti e colla.

Vogliamo oggetti che possano essere aperti – scrive Doctorow – e se il suo è tutto sommato un punto di vista noto e prevedibile, vale la pena considerare che la grande maggioranza delle opinioni espresse in Rete in questi giorni sul futuro del tablet di Apple si è tenuta a rispettosa distanza dal punto sensibile. Quello del modello economico che iPad sottende: un modello, come scrive con ragione Doctorow, pensato dal business per il business senza grandi concessioni ad altri soggetti, primi fra tutti ovviamente gli utenti. Di questa prospettiva di Apple avevo parlato sul mio blog qualche tempo fa e la discussione nei commenti, come spesso avviene in questi casi, si era fatta subito accesa. Mi interessa citare in particolare il commento di Fulvio, che descrivendo l’approccio naturale di sua figlia verso lo schermo touch dell’iPhone scriveva:

Ma se una bambina di tre anni e mezzo ha capito da sola come funziona iPhone, io credo che gli anziani di 60/70 anni possono tranquillamente capire e utilizzare un iPad per leggere il giornale, navigare su Internet, scrivere due lettere tramite mail e guardarsi le foto dei nipoti su quello strano aggeggio che si “tocca”

Ecco a voi un’altra questione rilevante. Da un lato Apple estende ad un gadget con qualche solida parentela con un notebook quella che Doctorow chiama la “Wal-Martizzazione” del software, caratterizzata da un controllo assoluto da parte dell’industria sui programmi che ciascuno di noi utilizza; dall’altro iPad, esattamente come è accaduto con iPhone, propone una declinazione dell’esperienze tecnologica capace di avvicinare un numero molto ampio di soggetti che fino a ieri ne erano di fatto esclusi.

È evidente che ci sia un equilibrio da trovare.

Gli ottimisti dicono che le viti prevarranno sulla colla. Che i tentativi più o meno palesi di ridurre il controllo dei consumatori sulle tecnologie che utilizzano è destinato a fallire o ad essere presto o tardi aggirato. Valga a tale proposito osservare che i primi tentativi fruttuosi di “jailbreak” di iPad sono stati annunciati a meno di 24 ore dalla sua commercializzazione. D’altro canto le nicchie non sono così interessanti per il grande business che rivolge la propria attenzione alla maggioranza degli utilizzatori: milioni di persone che nemmeno si pongono la questione dell’orto recintato di Apple, che considerano accettabile affidare il controllo del proprio elegante gadget ad un soggetto che decida quali software sia possibile utilizzare, a quali condizioni e per quanto tempo.

È l’apologia del concetto di “licenza”: ci viene proposto di acquistare una macchina il cui controllo e funzionamento resta in altre mani. Una sorta di abbrutimento del concetto di proprietà: acquistiamo una bella sedia nel cui manuale sta scritto chi potrà sedersi e chi no.

Fra quanti credono che iPad sia il male vale la pena citare Jeff Jarvis che sul suo blog ha toccato un altro punto rilevante. iPad – scrive Jarvis – “è un ritorno al concetto di audience . È questa la ragione per cui le media company e i pubblicitari l’hanno adottato così rapidamente, perché pensano torneranno i cari vecchi tempi nei quali noi semplicemente consumavamo senza creare, quando loro controllavano la nostra esperienza mediatica e noi utilizzavamo i loro modelli di business. La più assurda ed estrema prova di questo è l’applicazione di Time Magazine, essenzialmente un PDF del magazine che è peggio della versione web: non si può commentare, non si può ridistribuire, non si può linkare e costoro credono che tutto questo valga 4.99 dollari a settimana. Però le immagini sono belle”.

Le immagini sono effettivamente belle. Ma la colla ha sostituito le viti ed il risultato di tutto questo è un bel salto nel vuoto. Il bilancio sociale di queste piccole tempeste di innovazione sarà evidente nel giro del prossimo paio d’anni, e attende la discesa in campo di altri soggetti con altre differenti idee e progetti. Nel frattempo Apple fa con iPad quello che ha fatto in questi ultimi dieci anni prima con iPod e poi con iPhone: si siede a cavallo del bivio ed aspetta. È una specie di commerciante laico, produce macchine affascinanti e le circonda di idee discretamente impresentabili. Ma sa far bene entrambe le cose, che i passanti scelgano una o l’altra strada per lei in fondo non fa troppa differenza.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
6 apr 2010
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