Google si è scusata, il management del gigante della net economy ha chinato il capo ammettendo il “disastro”, promettendo che la cosa non si ripeterà in futuro e accettando di consegnare le informazioni richieste alle autorità europee. Ma la ” macchia nera ” virtuale della falla di Street View – con la Google Car che ha catturato e raccolto “per errore” le informazioni dei network WiFi non protetti – si estende senza freni in molti degli oltre 30 paesi in cui è stata eseguita la “mappatura” delle strade e delle reti wireless.
Le accuse nei confronti di Google crescono, ed è ironicamente proprio il contributo degli esperti assoldati da Mountain View a incrementare la pressione sulla società: un rapporto di Stroz Friedberg, finanziato da Google nell’ambito dell’investigazione interna su quello che è andato storto nella mappatura del WiFi con la Google Car, viene ripreso dal gruppo inglese Privacy International e indicato come “prova regina” dell’assoluta colpevolezza del management del Googleplex.
Nel rapporto, dice PI, viene indicato chiaramente che Google ha progettato il suo pacchetto software “gslite” con l’esclusivo obiettivo di lasciar decadere le informazioni cifrate e registrare su hard disk i pacchetti di rete non cifrati . “Questa analisi stabilisce che Google aveva l’intenzione, oltre ogni ragionevole dubbio – scrive l’associazione – di intercettare e registrare sistematicamente il contenuto delle comunicazioni e pone quindi la società a rischio di denuncia legale in quasi tutte le 30 giurisdizioni in cui il sistema è stato usato”.
Aumenta il coro di accuse nei confronti di Google così come cresce la già lunga lista di autorità locali (negli Stati Uniti) e internazionali che vogliono vederci chiaro nei presunti “errori” dei marchingegni di Mountain View e le potenziali implicazioni della raccolta di dati sulla privacy dei cittadini. Australia, Europa (Italia inclusa), Hong Kong, Stati Uniti e ora anche Nuova Zelanda avviano investigazioni e attivano le forze dell’ordine affinché Google sia obbligata a fornire tutte le informazioni richieste sulla faccenda.
Negli States, madrepatria del colosso telematico dove si stanno prevedibilmente concentrando la maggior parte delle investigazioni e delle cause legali, il procuratore generale del Connecticut ha chiesto a Google di rivelare tutti i dati WiFi registrati nello stato dicendosi “profondamente allarmato” qualora la “perniciosa invasione nella privacy” delle persone venisse confermata dai fatti. E per quanto riguarda le class action , per il momento siamo a quota sette : non è escluso che la lista vada aggiornata ancora.
Alfonso Maruccia