SCO: Linux ha copiato Unix

SCO: Linux ha copiato Unix

SCO afferma di poter dimostrare che Linux contiene ampie porzioni di codice copiate da Unix, una prova che, a suo dire, metterà IBM e tutta la comunità di Linux davanti all'evidenza dei fatti. Quali ripercussioni per il mercato?
SCO afferma di poter dimostrare che Linux contiene ampie porzioni di codice copiate da Unix, una prova che, a suo dire, metterà IBM e tutta la comunità di Linux davanti all'evidenza dei fatti. Quali ripercussioni per il mercato?


Salt Lake City (USA) – Sulla scia della clamorosa causa legale intentata lo scorso mese contro IBM, accusata di aver condiviso con la comunità open source tecnologie appartenenti a Unix, SCO Group (ex Caldera) ha recentemente dichiarato di aver accertato l’esistenza, nel kernel di Linux, di porzioni di codice copiate dal proprio sistema operativo Unixware.

Come si ricorderà, nella propria denuncia SCO accusava IBM di aver favorito Linux ai danni di Unix riversando nel primo parte delle tecnologie e del codice alla base di quest’ultimo, e in particolare dello Unix System V, una delle principali famiglie di Unix partorita dai Bell Labs a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 e implementata poi in molte altre varianti di questo sistema operativo, fra cui AIX di IBM.

“Abbiamo assunto alcuni consulenti esterni per confrontare il codice del kernel di Linux con quello del nostro Unix System V”, ha affermato Blake Stowell, responsabile per le pubbliche relazioni di SCO. “Nel corso di questo confronto abbiamo trovato casi in cui il codice è stato copiato linea per linea e casi in cui il codice è stato in qualche modo camuffato: in questi ultimi casi spesso il codice sembra differente, ma in realtà è lo stesso”.

SCO non ha specificato quali porzioni di codice sarebbero state copiate, limitandosi a dire che in alcuni casi si tratta di linee di programma che hanno diversi anni di età, mentre in altri si tratta di materiale più recente. L’azienda ha poi sottolineato come il numero di congruenze fra il codice di Unixware e quello del kernel di Linux sarebbe “non trascurabile”.

“Riteniamo davvero buone le prove che stiamo per mostrare alla corte”, ha commentato Darl McBride, chief executive di SCO. “Mostreremo queste prove solo al momento opportuno, in un’aula di tribunale. La comunità Linux vorrebbe che le pubblicassimo subito, così che possano eliminarle prima della data del processo. Non è ciò che intendiamo fare”.

Una mossa, quella di SCO, che il noto guru dell’open source Bruce Perens non ha esitato a definire FUD – acronimo dei termini inglesi fear (timore), uncertainty (incertezza) e doubt (dubbio) -, un attributo dispregiativo che la comunità open source ha spesso associato, in passato, alle politiche commerciali dei produttori di software proprietario.

Ma vediamo come IBM ha risposto alle accuse di SCO e quali conseguenze potrebbe avere questa causa per il mercato di Linux.


Come aveva già fatto lo scorso mese, IBM ha negato con forza di aver mai divulgato codice o tecnologie di proprietà di SCO, affermando che l’unico interesse di quest’ultima è quello di mettere i bastoni fra le ruote di quel carro che sta lanciando Linux sul mercato enterprise, un settore dove sembra destinato ad erodere a Unix quote sempre più importanti di mercato.

“SCO sta cercando di fermare la comunità open source, e lo sviluppo di Linux in particolare, reclamando i diritti su tecnologie importanti e largamente utilizzate e impedendo che la comunità open source ne faccia uso”, ha scritto IBM in un documento di 18 pagine presentato presso il tribunale.

IBM non ha voluto rivelare la linea difensiva che adotterà per il processo, tuttavia questa potrebbe far leva sul fatto che le tecnologie a cui fa riferimento SCO erano già state rivelate da altri e ormai considerate di pubblico dominio: secondo alcuni esperti, infatti, non poche porzioni del codice di Unix sono state pubblicate, nel corso degli anni, su libri, corsi, tesi ed esempi di programmazione.

L’accusa di SCO viene tuttavia dipinta da molti analisti come una spada di Damocle che pende minacciosa sulla testa di tutti coloro che hanno scommesso sul business legato a Linux, lo stesso attorno al quale gravita una miriade di società che utilizzano e spesso contribuiscono allo sviluppo del kernel free, primi fra tutti i distributori dei sistemi operativi basati su Linux.

Se SCO avesse davvero fra le mani prove schiaccianti, e queste dovessero darle la vittoria in tribunale, le ripercussioni per tutto il mondo del Free Software legato a Linux potrebbero essere pesantissime, soprattutto se Linus Torvalds e soci fossero costretti a rimettere mano a funzionalità chiave del kernel di Linux; un kernel, è bene ricordarlo, utilizzato ormai in una grande varietà di contesti e dispositivi: dai computer desktop ai server, dai supercomputer ai PDA, dai controlli industriali alle set-top box, dai robot agli elettrodomestici. Un vitale ecosistema dove Linux rappresenta spesso un’alternativa economica e aperta ai sistemi operativi proprietari, prime fra tutti le versioni commerciali di Unix.

Per il momento, SCO non sembra intenzionata a trascinare in tribunale altre aziende legate a Linux, precisando poi che tutte le proprie licenziatarie possono ritenersi al sicuro: dunque, sembra implicitamente dire SCO, chi non ha una licenza Unix e vende prodotti basati su Linux non è in regola e, pertanto, passibile di denuncia.

Il paradosso, secondo alcuni, è che SCO sia una delle quattro società che, in seno al consorzio United Linux, promuove gli standard aperti e commercializza un sistema operativo basato su Linux (di cui ha recentemente rilasciato una nuova versione). È pur vero, come precisano altri, che il core business di SCO è tutto incentrato su Unix, un settore da dove trae oltre il 90% dei propri proventi.

L’ostilità crescente della comunità Linux nei confronti di SCO, manifestatasi attraverso numerosi articoli e lettere di critica, sembra essere sfociata lo scorso venerdì in un attacco di tipo denial of service al sito Web della società. Secondo ViaWest, il service provider che fornisce connettività a SCO, il traffico generato dall’attacco sarebbe stato “grande e ben orchestrato” e avrebbe consumato oltre il 90% della banda di 100 connessioni T1. Sebbene non vi siano state rivendicazioni, appare evidente la contestualità dell’attacco con le più recenti rivelazioni di SCO sul caso IBM.

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Pubblicato il 5 mag 2003
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