Cina, addio all'anonimato in Rete?

Cina, addio all'anonimato in Rete?

Secondo nuove disposizioni delle autorità di Pechino per usufruire di certi servizi web bisognerà sottostare ad un sistema di identificazione. Mentre il software Green Dam langue dopo il taglio dei fondi
Secondo nuove disposizioni delle autorità di Pechino per usufruire di certi servizi web bisognerà sottostare ad un sistema di identificazione. Mentre il software Green Dam langue dopo il taglio dei fondi

Ha ormai assunto i toni accesi di una vera e propria guerra, che Pechino combatte contro certe sgradite libertà offerte dal web. Libertà come quelle legate all’acquisto online di un apparecchio mobile o, più semplicemente, alla partecipazione in un qualsivoglia spazio di discussione. Nuove regole dovranno essere introdotte, almeno secondo Wang Chen , a capo del dipartimento per l’Informazione interno al Consiglio di Stato cinese. Regole ancora più ferree, che dovranno prendere le misure ad una Rete in continua espansione nel paese asiatico. Così, pare che parte degli attuali 404 milioni di netizen dovrà rassegnarsi all’ improvvisa fine dell’anonimato online .

Ad annunciarlo , appunto Wang Chen, intervenuto nel corso di un evento istituzionale organizzato lo scorso aprile. Un discorso ampio, successivamente rimosso dai meandri della Rete. Ma ora riemerso grazie ad un articolo pubblicato da Human Rights in China , organizzazione a tutela dei diritti umani con base a New York.

Gli obiettivi di Chen sarebbero due. Il primo, fare in modo che tutti i netizen cinesi debbano identificarsi per usufruire dei più vari servizi web . “Trasformeremo questo sistema di identificazione in realtà, molto presto – ha spiegato Chen – Poi implementeremo un meccanismo per cui bisognerà inserire il proprio nome completo per l’uso dei cellulari. Gradualmente, toccherà anche ai processi interattivi di Internet”.

Il tutto per combattere la diffusione di materiale ritenuto dalle autorità sovversivo e minaccioso nei confronti dell’integrità nazionale. Secondo obiettivo , quello di utilizzare su larga scala le risorse della Rete per istituire un’immagine positiva e benevola della Cina , in modo da attirare le simpatie del popolo e dei governi del mondo.

Internet, in sostanza, sarebbe il mezzo principale per disegnare un’immagine soft del paese asiatico, comunicando efficacemente con vari paesi esteri. E, chissà, forse anche con Google, dopo mesi di tensioni anche abbastanza elettriche. Le autorità di Pechino hanno infatti recentemente confermato il lasciapassare al rinnovo della licenza Internet Content Provider (ICP), scaduta alla fine dello scorso giugno e necessaria all’azienda di Mountain View per continuare ad operare come sito di natura commerciale.

Un rinnovo annunciato dallo stesso blog ufficiale di BigG , che ha rassicurato sul prosieguo del reindirizzamento dei risultati di ricerca verso i server ad Hong Kong. A Google.cn saranno garantiti servizi come quello legato alla musica. Ma è anche vero che rappresentanti di Guxiang Information Technology – ovvero la società tecnologica che gestisce Google.cn – avrebbero spinto BigG a restituire fra i risultati di ricerca contenuti in linea con la legge cinese .

Legge cinese che potrebbe ora fare a meno del tanto contestato software Green Dam Youth Escort , che avrebbe dovuto essere implementato su ogni computer e che invece è presente solo su 20 milioni di apparecchi . Il suo team di sviluppatori avrebbe smesso di ricevere fondi da parte del governo di Pechino. Che questi vengano dirottati verso il meccanismo che dovrebbe uccidere per sempre l’anonimato?

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 14 lug 2010
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