Roma – Mentre scriviamo, sono quasi 4mila le firme raccolte per la petizione che chiede la liberazione di Sina Motallebi, autore di un blog iraniano apparentemente inoffensivo ma che, divenuto popolare, è stato sottoposto alla censura più pesante: Motallebi è stato arrestato dalle autorità di Teheran.
Da quando è accaduto, lo scorso 20 aprile, è partita una mobilitazione animata non solo dai tanti blogger occidentali ma anche dagli stessi autori iraniani. Anche in Iran, infatti, nonostante le molte difficoltà, il fenomeno dei blog ha conosciuto una prima diffusione, sintomo ed espressione di un anelito di libertà che evidentemente non piace al regime.
“Questa vicenda – ha spiegato Pedram Moallemian, un blogger iraniano che vive in California – non riguarda Sina. Il Governo ha notato questo nuovo mondo dove la libertà di parola può svilupparsi e ora vuole che si sappia che ci controllano. L’arresto di Sina vuole essere un messaggio”.
Sulle pagine del blog di Motallebi ora non vi sono più contenuti: la famiglia a quanto pare li ha rimossi nel timore che le autorità possano rendere più pesante la situazione del loro congiunto. Chiedersi per quale motivo sia stato arrestato Motallebi, a suo tempo critico cinematografico, che scriveva più che altro di arte, è evidentemente un esercizio inutile dinanzi alla pesantezza della repressione di Teheran.
Repressione che per quanto riguarda internet sta conoscendo un crescendo in Iran. Si pensi alla clamorosa vicenda degli arresti per cybersex o al recente giro di vite contro l’accesso via internet alla stampa internazionale dal territorio iraniano.