A dispetto dei soliti vaticini di sostituzione, che riguardano in genere tutti gli strumenti di comunicazione a nostra disposizione, una ricerca di eMarketer pubblicata la settimana scorsa racconta che, non solo i blog non sono ancora morti, ma il loro utilizzo sembrerebbe destinato ad aumentare, per lo meno negli USA, nel corso dei prossimi anni.
Si tratta di conclusioni sorprendenti rispetto ad una idea generale che riguarda non solo la generica capacità dei blog di influenzare il panorama informativo, ma che indica anche una tendenza che riguarda il numero di persone che scrivono un blog, quella nicchia di cittadini (in America circa uno su dieci) che partecipa con parole proprie alla composizione delle discussioni in rete.
Leggere i blog o scriverne uno sono oggi due attività molti distanti e vanno spesso riferite a persone diversissime. Per immaginare qualche valutazione sull’influenza dei blog, su chi siano davvero i loro lettori e su chi si prenda la briga di consultarli quotidianamente alla ricerca di informazioni, appare necessario intanto porsi qualche domanda su cosa sia un blog e su quali caratteristiche lo differenzino, per esempio, da un sito web informativo. Perché è evidente che i confini fra strumenti editoriali diversi si sono assottigliati nettamente negli ultimi anni, specie in USA dove, per esempio, esistono “blog” come Huffington Post che hanno oggi più lettori di storiche testate giornalistiche come il Washington Post .
Da questo punto di vista i dati di eMarketer sembrerebbero peccare di quell’eccesso di ottimismo che confonde la piattaforma di pubblicazione con le finalità editoriali dello strumento. Molto è “blog” oggi nel panorama informativo e comunicativo mondiale, molti nuovi soggetti si sono affacciati in Rete con prodotti informativi che hanno ottenuto grandi attenzioni e seguito, ma la definizione di “lettore di blog” è spesso complessa e non riassumibile nella semplificazione di una singola parola.
Molto più interessante il discorso sulla scrittura dei blog e sulla loro centralità nelle conversazioni. Da questo punto di vista nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito ad un inevitabile spostamento delle discussioni dai blog (commenti e link reciproci) ad altri strumenti di condivisione di più vasta portata, come Facebook e Twitter. Le reti sociali sembrerebbero aver allontanato una quota di discussione da quei vecchi diari personali che un tempo chiamavamo blog, riducendo anche parte del fascino sociale che questi avevano per chi si dedicava alla loro scrittura.
Accanto ad un fisiologico effetto di addizione, abbiamo assistito ad una altrettanto evidente migrazione delle conversazioni dai blog verso i social network che sono oggi l’ambito dominante non solo di formazione dell’opinione, ma anche dello sharing informativo. Questo avviene fondamentalmente per ragioni di architettura: l’immediatezza di Twitter nella ridistribuzione delle segnalazioni, e la ampia diffusione di Facebook come piazza virtuale abitata da milioni di nuovi cittadini digitali che mai avevano aperto un blog e che solo occasionalmente ne avevano letto qualcuno, ha indebolito la centralità sociale dei blog e spostato altrove il ribollire delle discussioni.
Nello stesso tempo sembra di poter dire che molti di questi ambiti sociali che oggi richiedono la nostra attenzione non sono piattaforme altrettanto efficaci dei blog in termini di comunicazione strutturata, facilmente archiviabile e consultabile.
Se Facebook, Twitter o Friendfeed sono oggi il luogo del tempo reale informativo, quegli stessi ambiti sembrano essere, contemporaneamente, imperfetti servitori di una idea di costruzione organica del pensiero strutturato. Se la veloce battuta, il “like” alla vibrante campagna online o il rapido colpo d’occhio che quotidianamente dedichiamo alla nostra colonna di lifestreaming, non può esaurire la nostra capacità di maneggiare contenuti notizie ed opinioni ma solo potenziarne velocità ed ampiezza, questo significa che dovranno esistere (anzi, continuare ad esistere) altri luoghi della Rete vocati ad una sua più stabile organizzazione.
I siti web editoriali sono già da tempo in grado di rispondere a questa esigenza ed anche i blog personali, con tutti i loro limiti, hanno mantenuto intatta negli anni questa predisposizione alla lentezza del pensiero recuperabile. Scrivere un blog oggi significa, prima di tutto, partecipare ad una necessaria archiviazione dei pensieri, rubando tempo al veloce flusso di coscienza che è diventata oggi la regola della fruizione informativa ai tempi dei social network. Se questi spazi di raziocinio saranno destinati a mantenersi, nei prossimi anni, sarà certamente una buona notizia.
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