Italia, post volant

Italia, post volant

di Guido Scorza - Una storia di accuse di plagio e diffamazione, un PM che dispone la cancellazione di certi articoli che riguardano la vicenda, Google esegue. Prima che la giustizia abbia fatto il suo corso
di Guido Scorza - Una storia di accuse di plagio e diffamazione, un PM che dispone la cancellazione di certi articoli che riguardano la vicenda, Google esegue. Prima che la giustizia abbia fatto il suo corso

Un’altra storia di libertà – quella di espressione – violata, un’altra storia di censura che corre sul web e, ancora una vicenda nella quale l’immaterialità dell’informazione online sembra psicologicamente legittimare l’Autorità ad immolarla sull’altare del sospetto. Ma cominciamo dai fatti, peraltro già ben riassunti dal protagonista della vicenda sul suo blog e da Alessandro Gilioli sul suo Piovono Rane .

Morgan Palmas gestisce un blog di informazione e cultura letteraria, ospitato sulla piattaforma di blogging di Google. Tra il febbraio ed il marzo del 2010, Morgan scrive due post attraverso i quali racconta la storia di un plagio letterario che si sarebbe consumato in ambito universitario a danno di una studentessa da parte di due professori universitari. La sua correlatrice – stando alla storia raccontata a Morgan – avrebbe fatto propria la tesi di laurea di Maria Antonietta Pinna, laureata presso l’Università degli Studi di Sassari.
Nei giorni successivi alla pubblicazione dei due post, L’Espresso riprende la notizia e questo provoca la reazione della professoressa accusata di plagio che avverte l’esigenza di replicare, negando, naturalmente, quanto accaduto.

Come spesso accade in questi casi, quella che segue è una vicenda giudiziaria su più fronti, ancora lontana dalla conclusione: la studentessa cita in giudizio la sua professoressa per plagio letterario dinanzi al Tribunale civile e quest’ultima risponde querelandola per diffamazione.
Una storia di mala-università, un’occasione in più per riflettere sulla sottile linea che, soprattutto in ambito accademico, divide il plagio dalla rielaborazione critica di altrui idee ed opinioni o, semplicemente, una studentessa che – a torto o a ragione – ha ritenuto di riconoscere il risultato delle sue notti sui libri, in un testo, di successo, pubblicato a nome della sua professoressa?
Tutte le ipotesi sono allo stato aperte. Due procedimenti giudiziari sono pendenti ed occorre, evidentemente, attendere per conoscere la verità o, almeno, la sua miglior rappresentazione terrena: quella che la giustizia sa e può offrirne.
Il punto, tuttavia, è un altro.

Nelle scorse settimane, infatti, un Pubblico Ministero presso la procura della Repubblica di Ferrara prende carta e penna – si fa per dire – e ordina alla Polizia Postale e delle Comunicazioni di acquisire presso Google Inc. “…gestore del sito www.sulromanzo.blogspot.com dei Files di log relativi all’IP ed ora di connessione per la pubblicazione degli articoli…” individuati con il loro titolo e la relativa URL di pubblicazione.
Nello stesso provvedimento il P.M. tuttavia va oltre e “dispone la cancellazione degli articoli di cui sopra”.
Detto, fatto. La polizia delle telecomunicazioni procede e richiede a Google Inc. di fornirle i dati richiesti e di provvedere alla cancellazione dei due post.
Google – ricevuto per il tramite della Polizia il provvedimento del pubblico ministero su tanto di carta intestata della Procura della Repubblica di Ferrara – esegue.
Probabilmente, qualcosa è andato storto nel processo tecnico di soppressione dei post perché uno dei due risulta ancora raggiungibile, tanto che Morgan lo richiama nel post di oggi. Il risultato però non cambia.

Un pubblico ministero, mentre procede all’accertamento di un reato ed all’individuazione del presunto responsabile, ha ordinato la definitiva cancellazione del contenuto asseritamente diffamatorio. Il sospetto è stato sufficiente a condannare al silenzio il blogger ed all’eterno oblio i suoi post. E se domani, all’esito del procedimento, un Giudice accertasse che quei post non contenevano alcun riferimento diffamatorio?
Certo magari è successo – come in certi romanzi strappalacrime – che il boia non se l’è sentita di condannare a morte un innocente ed ha preferito nasconderlo da qualche parte, per offrirgli una seconda possibilità…

Google forse ha fatto di più di quanto le competesse ed ha reinterpretato il provvedimento del PM – benché inequivoco nel suo tenore letterale – e si è limitata a “sequestrare” o “mettere da parte” i due post rendendoli inaccessibili così da poterli restituire al loro autore ed al pubblico, nell’eventualità in cui i Giudici, nei prossimi mesi, dovessero stabilire che nessuna diffamazione è stata commessa.
Ma questa, è un’altra storia.

Quando in gioco c’è una libertà fondamentale come quella di espressione, il sistema non dovrebbe far affidamento sulla prassi virtuosa dei soggetti privati coinvolti, né sul fatto che, qualcuno, dall’altra parte dell’oceano, si ponga “scrupoli di coscienza” nella soppressione dell’altrui pensiero o opinione. Vale davvero così poco la nostra libertà di espressione online? Si può accettare che la scarsa conoscenza delle dinamiche dell’informazione online e una buona dose di approssimazione nell’uso delle parole – “cancellare” non significa “sequestrare” né “rendere inaccessibile” – possano determinare così gravi violazioni della libertà di manifestazione del pensiero di ciascuno di noi?

Non credo sia importante scendere nelle tecnicaglie giuridico-processuali e interrogarsi sui poteri e le forme di esercizio di tali poteri da parte di un PM. Il problema è di diritto sostanziale e, forse, anzi, semplicemente di civiltà giuridica: una studentessa, con nome e cognome, racconta di aver subito un plagio, la professoressa accusata di plagio replica, le due posizioni vengono pubblicate con eguale evidenza e ne seguono ben due procedimenti giudiziari nell’ambito dei quali – sotto profili diversi – si accerterà chi ha ragione e chi torto. In un conteso di questo genere, probabilmente, i due post in questione avrebbero ben potuto rimanere dove erano, tanto più che gli stessi fatti sono, ormai, raccontati in centinaia di altri luoghi virtuali: sulle pagine dell’Espresso online, ad esempio o piuttosto su Facebook.

Occorre – o almeno questo è il mio pensiero – ripensare le regole dell’informazione online, attribuendo maggior valore alla libertà di tutti di dire la propria, salvo rispondere di eventuali abusi. Solo un ordine dell’Autorità giudiziaria – all’esito, almeno, di una valutazione in sede cautelare sull’effettivo carattere illecito di un contenuto – deve poter legittimare la rimozione di un contenuto dalla Rete. Travalicare questa sottile linea rende troppo alto il rischio di scivolare nell’arbitrio e di non attribuire il corretto valore alla libertà di informazione, proprio oggi che, ciascuno di noi può finalmente davvero esercitarla.
Quanto vale la libertà di manifestazione di un cittadino sul web? È questa la domanda che il nostro legislatore – e quelli di molti altri Paesi – dovrebbero porsi.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il 12 ott 2010
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