The Social Network, una storia in blu

The Social Network, una storia in blu

Il film di Fincher presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma. Una storia di ingordigia, solitudine e ambizioni frustrate. Punto Informatico lo ha visto in anteprima
Il film di Fincher presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma. Una storia di ingordigia, solitudine e ambizioni frustrate. Punto Informatico lo ha visto in anteprima

Avviso ai lettori: Le informazioni contenute in questo articolo anticipano alcuni dei contenuti del film “The Social Network” prossimamente in uscita nei cinema.

Roma – “Io sono il CEO, stronzetto”. Così si legge su una serie di biglietti da visita giunti sulla scrivania di un ragazzo dai capelli ricci, il cui sguardo è da ore fermo sullo schermo di un computer. Nello stesso istante, da un insieme di apparecchi video viene annunciato un risultato cruciale: il social network Facebook ha ormai superato il milione di utenti iscritti . Gli occhi del ragazzo non sembrano così entusiasti, ora concentrati solo su quella scritta.

“Quelli del business ti diranno: buona idea, ragazzo, ora lascia fare a noi. Ma non questa volta. Questo è il nostro momento”. Così parla il co-founder di Napster Sean Parker al giovane studente di Harvard Mark Zuckerberg, convincendolo definitivamente a prendere le redini di un sito da 500 milioni di amici. Di una piattaforma che crescerà in maniera spropositata, arrivando a valere qualcosa come oltre 25 miliardi di dollari .

Almeno stando alle informazioni finali del film The Social Network , ultima fatica del regista di culto David Fincher, presentato in anteprima – e fuori concorso – al Festival Internazionale del Film di Roma . Una pellicola che, come già ampiamente anticipato dalle positive recensioni statunitensi, ripercorre le burrascose vicissitudini sorte in seguito alla gestazione di uno degli affari più fruttuosi della storia di Internet.

A partire da quel FaceMash.com , messo in piedi in una sola notte da uno studente chiuso in se stesso, incapace di comunicare al di là della sua ristretta cerchia di amici programmatori (almeno stando alla ricostruzione della pellicola). Mark Zuckerberg vive di sensazioni frustrate sul suo blog, dopo aver subito l’ennesima disfatta sentimentale. “Alla gente non piaci – gli rivela Erica all’inizio del film – e non perché sei nerd. Alla gente non piaci perché sei uno stronzo”.

È davvero “uno stronzo” il più giovane miliardario del pianeta? Colui che ha saputo prevedere i gusti, gli interessi, le propensioni e persino le fantasie più sfrenate di 500 milioni di individui? Probabilmente solo un ladruncolo, almeno secondo gli atletici gemelli Tyler e Cameron Winklevoss e la ricostruzione (romanzata?) della sceneggiatura. Un subdolo verme, che non ha esitato ad appropriarsi di un’idea altrui per poi piazzarla online al momento più giusto.

Probabilmente Mark Zuckerberg non è affatto un genio ribelle o un anarchico dei tempi digitali. Lo si può leggere tra le righe del film di Fincher: l’idea alla base di Facebook era venuta anche a due sudati canottieri di Harvard. “Se foste gli inventori di Facebook, allora avreste inventato Facebook”. Così Zuckerberg si difende davanti ad un tavolo zeppo di legali, circondato da ben due cause multimilionarie, di cui una per violazione di proprietà intellettuale .

Facebook appare dunque come il frutto agognato di un ragazzo ai limiti dell’ossessione (“È la mia vita”, dirà il futuro CEO a Sean Parker), di uno studente isolato che vede in Rete il futuro di una generazione isolata. A differenza dei gemelli Winklevoss, Mark Zuckerberg mette tutto se stesso al servizio di una visione condivisa, che poi si trasformerà in una più che redditizia opportunità di business. Semplicemente a partire dall’idea che la gente voglia ritrovare online una persona conosciuta ad un party .

Ai party vorrebbe essere invitato il giovane Zuckerberg, perché “sono esclusivi, divertenti e ti cambiano la vita in meglio”. Il sogno è lo stesso del suo migliore amico Eduardo Severin – divenuto co-founder di Facebook prima di venire liquidato da Mark e Sean Parker – ovvero entrare nel gotha delle confraternite universitarie. Ambizioni frustrate, raggiunte solo dopo una visione fatta di decine di migliaia di righe di codice in salsa social.

Ma non si tratta tanto del bisogno di portarsi una groupie nel bagno di un locale. Né – a detta del film – di immergersi in un fiume infinito di denaro. Le necessità sociali di Zuckerberg sono quelle di altri ragazzi della sua età, pronte ad abbracciare le sempre più sconfinate possibilità offerte dalle reti di comunicazione online. Mark arriva lì, al momento giusto e con la giusta dose di coraggio e di sfrontatezza.

Le vicende legali che seguiranno sono ormai arcinote. Inutile riepilogarle, probabilmente anche per non rovinare la tensione serrata di un film molto ben costruito nonché curato nei minimi particolari. Alla fine una seducente avvocatessa dirà a Mark: “Non penso che tu sia stronzo. È solo che ti sforzi di esserlo a tutti i costi”. Con tanto di ultimi minuti da antologia del film di culto.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 2 nov 2010
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