Eccoci tutti a brindare (in modo piuttosto acritico) per le nuove dichiarazioni di Maroni sul WiFi libero. Decreto Pisanu in soffitta, si legge in giro.
Salvo qualche voce isolata un po’ critica (leggo con interesse gli amici Guido Scorza e Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito che qualche dubbio timidamente se lo pongono), tutti intenti ad applaudire l’avvio di un’ondata di libertà su Internet! Finalmente la rete torna ad essere il Far Web di sempre, come nel resto del mondo! E il fatto che il Procuratore Nazionale Antimafia Grasso si permetta di dire che Internet possa essere anche un luogo dove ladroni, mascalzoni, mafiosi e pedofili viaggino indisturbati fa solo sorridere ai più, perché il solito “poliziotto” non si rende conto di cosa è Internet e che i “vecchi metodi” (“favorisca i documenti, prego!”) non servono, ma al massimo ci si deve adoperare con filtri preventivi alla navigazione e altri strumenti sofisticati di lotta alla cybercriminalità, più in linea con la realtà virtuale.
Ma davvero questi nuovi metodi possono controllare Internet e possono aiutare i “poliziotti” nella lotta ai cybercriminali e soprattutto siamo abbastanza evoluti sotto questo punto di vista? E stiamo andando veramente verso questa direzione?
Nessuno, almeno da quello che ho letto in giro, nella foga di scrivere il “pezzo giusto” sul WiFi libero ha provato a legare due diverse dichiarazioni di Maroni fornite lo stesso giorno e nello stesso momento davanti alla stampa. Da una parte il Ministro ha spiegato che il Decreto Pisanu “va in soffitta” (ammesso che sia veramente questa l’intenzione e lo vedremo), dall’altra ha riferito che il medesimo “pacchetto sicurezza” prevede la reintroduzione (gratuita per tutti) della Carta d’Identita Elettronica (che sarà rilasciata sin dalla nascita: “da quando si è neonati”, ha dichiarato solennemente e con grande entusiasmo il Ministro!). Ma lo sappiamo a che potrebbe servire questo (criticatissimo) strumento? Semplicemente ad essere riconosciuti sul Web!
È giusto? È sbagliato? La direzione appare sempre la stessa: non può esserci un “Far Web” e occorre dotarsi di strumenti di identificazione in modo che il mondo virtuale coincida con quello reale e le identità personali digitali coincidano con le identità fisiche. Giusto o sbagliato che sia, si andrà inevitabilmente verso questa direzione, ci piaccia o non ci piaccia. Perché sempre di più la nostra appartenenza ad una comunità si misurerà nella Società dell’Informazione, la quale ci vorrà conoscere, pretenderà di identificarci per offrirci i suoi servizi e ci chiederà forme di riconoscimento sempre più invasive, non per pruriti voyeuristici, ma per esigenze di tutela e di controllo proprie di qualsiasi assetto organizzativo e sociale.
Questo è il futuro che ci aspetta: ci libereremo (forse) della carta di identità cartacea da fornire preventivamente al nostro fornitore di rete WiFi, ma probabilmente accederemo a Internet previa (necessaria) identificazione con carta d’identità elettronica.
E, forse, è inutile urlare al vento la nostra acritica rabbia, ma dobbiamo iniziare ad accettare questa evoluzione verso la vita digitale e magari chiederci semplicemente se questi strumenti che ci continua a propinare il nostro legislatore siano realmente efficaci ad identificarci o se dobbiamo utilizzarne altri.
Intanto, una cosa è certa: questo Governo, in un paio d’anni, in un modo o nell’altro sta cercando di recuperare due strumenti che si erano rivelati un fiasco completo tutto italiano: prima la PEC e adesso la CIE!
Andrea Lisi
Digital&Law Department – Studio Legale Lisi