Italia e banda larga, un futuro in ritardo

Italia e banda larga, un futuro in ritardo

Altri numeri mostrano l'arretratezza del Belpaese. Agcom incontra gli stakeholder e parla di regole chiare e approccio coordinato: al limite anche a macchia di leopardo. L'importante è (ri)partire
Altri numeri mostrano l'arretratezza del Belpaese. Agcom incontra gli stakeholder e parla di regole chiare e approccio coordinato: al limite anche a macchia di leopardo. L'importante è (ri)partire

Nella cornice romana della tavola rotonda con l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, sul banco ancora una volta le questioni strutturali, politici e imprenditoriali che bloccano lo sviluppo della banda larga in Italia e generano un ritardo che sembra quasi specchiarsi nei vizi congeniti del Paese. Esemplificativa, sul tema, la battuta con cui si introduce il Presidente Calabrò iniziando in orario il suo intervento: “Vi chiedo scusa per la puntualità”.

Secondo uno degli ultimi studi, condotto dalla Said Business School (Università di Oxford) e che prende in considerazione la qualità della banda larga in 72 paesi con test effettuati attraverso il sito SpeedTest , il mondo è sempre più connesso e veloce: la velocità media di download globale è aumentata del 49 per cento in soli tre anni (da 3.271 Kpbs nel 2008 a 4.882 nel 2009, e 5.920 Kpbs nel 2010), l’upload del 69 per cento ( da 794 a 1.777 Kbps) e la latenza è ridotta del 25 per cento fino a quota 142ms. Ma l’Italia nella classifica stilata in base a questi stessi numeri sulla BroadBand Leadership (ristretta, cioè, ai primi 30 paesi nel mondo) è ventiseiesima e occupa, per esempio, gli ultimi posti nelle transazioni economiche elettroniche.

Il problema per il Sistema Italia è insomma ormai riconosciuto da tutti e non resta che mettere gli ultimi accenti per passare alla stesura del piano di rilancio. Anche perché, oltre ai numeri, è l’ esperienza a mostrarne il ritardo .

Alcuni dei protagonisti di uno dei settori maggiormente colpiti dallo sviluppo di Internet lo riconoscono: coinvolti in un dibattito sul futuro dell’editoria (evocativamente introdotto dal Commissario Agcom Sebastiano Srotino, che ha raccontato del Presidente dell’Enciclopedia Italia che gli ha confessato della rinuncia ai caratteristici volumoni ) sono stati il diretto del Mondo, Enrico Romagna Manoja, quello del Tempo, Mario Sechi, e quello del Messaggero, Roberto Napoletano.

Tutti e tre hanno riconosciuto che la stampa, così come la conosciamo, è destinata a morire, e che gli operatori italiani si sono finora salvati solo perché le risorse di connettività (e con esse le abitudini degli italiani) sono rimaste indietro rispetto agli altri paesi occidentali: non solo gli Stati Uniti, dove i giornali sono considerati dead man walking , ma anche paesi come la Spagna e gli altri vicini europei, dove il WiFi è ormai arrivato in praticamente ogni bar.

Ma questo ritardo che, dicono i direttori, potrà permettere ai giornali italiani di trovare nuovi modelli di business (che siano basati su iPad, su altre forme di distribuzione, sul modello gratuito o su altro tipo di giornalismo poco importa) non deve essere considerato altrettanto utile anche negli altri campi: è lo stesso studio sopracitato a ribadire la positiva correlazione tra leadership nella qualità di banda e economie innovative (comparando i dati con quelli economici del World Economic Forum ). Lo riconosce ancora il presidente Agcom Corrado Calabrò che “il mondo cambia, l’agenda digitale si evolve col mondo”. Ma, si chiede, “Come tradurre questo progetto sul caso italiano?”.

Se gli obiettivi sono stati posti (nel lungo periodo quello dei 100Mb, nel breve il digital divide), tutti devono però fare la loro parte: da un lato il rigore finanziario non può essere una scusante per il settore pubblico, dall’altro i privati devono fare la loro parte e non disperdere le risorse con piani infrastrutturali divergenti. Senza investimenti la situazione è asfittica, solo tramite di essi (in particolare in questo settore) si può trainare l’attesa ripresa economica. Allo stesso modo sono essenziali regole chiare e un piano progettuale definito.

A tal proposito il presidente di Agcom ha due idee molto chiare: innanzitutto chiarire e semplificare le regole (settore verso cui si è già mossa Agcom, per esempio con il registro delle infrastrutture al momento presenti e da cui partire), poi bisogna superare l’attesa della domanda e considerare che, come avvenuto con il digitale terrestre, un approccio a macchia di leopardo potrebbe sbloccare anche la situazione della banda larga.

Notazioni interessanti dello stesso studio chiariscono alcuni aspetti di questo tipo di approccio concentrato: mentre certi paesi sono stati in grado di fornire una buona connessione alla maggioranza della popolazione, altri, in particolare le economie meno sviluppate, si sono concentrati sulla realizzazione di banda larga di alta qualità fin da subito, come volano di sviluppo economico. Il risultato è che questi (molti dell’Europa dell’Est – tra cui Lituania, Lettonia, Bulgaria, Romania, Repubblica Cena e Ungheria) hanno superato le economie più avanzate in termini di qualità di banda larga (e, in molti casi, anche nella gestione e burocraticcazione degli allacci) che hanno avuto invece un approccio generalmente focalizzato sul potenziamento della banda larga già esistente con l’obiettivo di renderla accessibile alla maggioranza della popolazione.

L’altra faccia della medaglia è che la questione del digital divide sembra un po’ lasciata da parte: ma, dato l’ordinamento decentrato italiano, da questo punto di vista potrebbero ricoprire un ruolo determinante le amministrazioni locali, potenzialmente in grado di diventare, come spiega Filippo Galimberti di Cisco Italia, “un centro di aggregazione della domanda” e una spinta agli investimenti dei service provider.

Per quanto riguarda poi la questione dell’attesa della domanda, non bisogna dimenticare che gli stessi tempi di sviluppo dell’infrastruttura sono lunghi: si parla di almeno sette o otto anni per il completamento. Incassato, poi, il ritardo dell’e-government e del volume operazioni commerciali online, è interessante pensare a quanto riferito dallo stesso Calabrò in un rapporto alla Camera: “L’Italia è il primo paese in UE per l’acquisto online di biglietto aereo e treno”. Non è tutto un disastro quindi, anche se sembra quasi che l’italiano abbia voglia di partire più che di e-commerce.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il 2 dic 2010
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