Da questa settimana il London Stock Exchange , la borsa di Londra, è migrata a Linux e in particolare a Novel SuSE. Il cambiamento è stato definito come uno degli sviluppi cruciali per la Borsa da quando, nel 1986, si è abbandonato il piano utilizzato tradizionalmente per gli scambi in seguito all’incremento sostanziale di quelli elettronici.
Anche sul mercato finanziario vi è una forte concorrenza che, con lo sviluppo tecnologico, ha visto ridursi l’importanza della prossimità geografica e della grandezza relativa: il passaggio al software libero, secondo il direttore della Borsa di Londra Xavier Rolet, serve anche a respingere questo tipo di nuova concorrenza derivante da specialisti elettronici di settore.
Il nuovo sistema, chiamato “Millennium Exchange” è sviluppato da MillenniumIT e basato su un ambiente C++. Va a sostituire la piattaforma TradElect, basata su un’architettura dotNET che era stata aggiornata (per 40 milioni) da Accenture nel 2007, ma che aveva generato alcuni ritardi rispetto ai concorrenti diretti.
Già utilizzato da quattro mesi su uno dei mercati alternativi (Turquoise), il nuovo sistema ha subito alcuni ritardi (la migrazione era attesa per il primo novembre 2010) causati da questioni tecniche, problemi durante i test che aveva fatto nascere la paura che non reggesse le dimensioni del mercato principale.
In particolare a novembre un incidente su Turquoise aveva costretto LSE a tenere il mercato offline per due ore, e interrotto momentaneamente la migrazione principale .
Oscure le cause di quest’episodio: alla fine si è giustificato con l’errore umano, ma si è tirato in ballo anche il cyberattacco.
L’adozione del sistema libero agevolerà inoltre la probabile fusione con l’omologo canadese TMX. Nel frattempo anche la borsa di Johannesburg è passata a Linux.
Intanto una nuova statistica conferma che la scelta della Borsa di Londra si inscrive in un trend ben preciso che guarda specificatamente al software open source: secondo una ricerca Gartner , più della metà delle organizzazioni IT utilizza software open source . Il 46 percento in dipartimenti specifici per progetti determinati, il 22 in generale per tutti i dipartimenti e il 21 ne sta valutando i possibili vantaggi.
Risalenti ad agosto 2010 ed raccolti su 547 organizzazioni di 11 paesi diversi, i dati sono particolarmente rilevanti se messi in prospettiva rispetto alle precedenti analisi che vedevano solo cinque anni fa appena il 10 percento delle aziende passate all’open source (almeno in parte), e tre anni e mezzo fa il 30 percento.
Claudio Tamburrino