Una argomentazione molto dettagliata , suddivisa per punti, è stata fornita dal capo della privacy in Europa di Google, Peter Fleischer, sul tema di diritto all’oblio nell’era digitale . Una lunga elucubrazione che spiega il punto di vista di Fleischer, e che come più volte sottolineato non rappresenterebbe il pensiero dell’azienda sul tema, molto dibattuto, di quel diritto di difficile configurazione giurisprudenziale che divide in modo netto gli addetti ai lavori ed esperti e teorici del campo.
La riflessione del Googler , condivisa sul proprio blog, arriva anche a fronte della recente proposta da parte della Commissione Europea che suggerisce che il diritto all’oblio dovrebbe essere inserito nella prossima revisione della Direttiva sulla Privacy. In modo sarcastico Fleischer ha iniziato l’argomentazione ponendosi domande su cosa davvero significasse tale diritto. “Per molte persone, penso che sia un tentativo di dare alla gente il diritto di lavare via letame digitale o di eliminare la roba imbarazzante. Ma, purtroppo, è più complicato di così”.
“Sempre più spesso – continua – la privacy viene utilizzata per giustificare la censura. In un certo senso, la privacy dipende dal mantenimento delle cose private, in altre parole esse vengono nascoste, limitate o eliminate in un mondo in cui i contenuti sono sempre più online e in cui è sempre più facile reperire il contenuto e condividerlo con altri”. La privacy sarebbe poi il nuovo strumento per attuare la censura. “Le persone invocano calunnia e diffamazione per giustificare la censura di cose che feriscono la loro reputazione”, ha spiegato Fleischer. “Ma invocare la calunnia e la diffamazione – ha continuato, riferendosi alla legislazione di alcuni paesi – presuppone che i fatti di cui si sta trattando non siano veri”.
La privacy come giustificazione per la censura, ha spiegato Fleischer, ora conta diversi aspetti connessi fra loro e tra questi vanno ad aggiungersi le sfaccettature del diritto all’oblio, l’idea che i contenuti (riferendosi specialmente a quelli generati dagli utenti sui servizi di social network) dovrebbero avere una data di scadenza, il fatto che i dati raccolti dalle imprese non debbano essere conservati più del tempo necessario, il presupposto che i computer dovrebbero essere programmati per dimenticare proprio come accade nella mente umana. “Tutti questi – ribadisce – sono aspetti a cui bisognerà guardare per la rimozione dei contenuti in nome della privacy”.
Fleischer parla di ciò che è in gioco nei piani europei nel momento in cui verrà predisposta e poi attuata una direttiva sulla privacy che garantirebbe ai cittadini il diritto di decidere cosa eliminare con il risultato di privare la Rete o le varie banche dati di preziose informazioni che – secondo il pensiero del capo della Privacy di Google – “si opporrebbero allo sviluppo digitale”.
Nella sua argomentazione pone domande importanti sui termini giuridici e le soluzioni tecniche che permettono l’autocancellazione dei dati. A molti di tali quesiti l’autore non fornisce delle specifiche risposte, limitandosi, con qualche asserto pungente, a far trapelare il suo pensiero a favore di un flusso più “liberale” delle informazioni.
Scomponendo la questione in otto punti egli tenta di affrontare tre macro-questioni: quali contenuti devono essere eliminati in Rete, a chi spetterebbe l’eliminazione di tali dati, e infine, l’aspetto riguardante la modalità e la questione del tempo sottostanti all’eliminazione di tali contenuti.
Il primo punto analizza l’aspetto riguardante i contenuti e i dati sui quali può manifestarsi il diritto all’oblio. Ponendo il caso che un qualsiasi utente pubblichi una informazione in Rete, quest’ultimo dovrebbe avere il diritto di eliminarla nel momento in cui dovesse avere dei ripensamenti nel tempo. “Praticamente – evidenzia Fleischer – tutti i servizi online già offrono questo. Nonostante ciò questo è l’aspetto che il governo francese vuole garantire nella sua Carta del diritto all’oblio “. “Ovviamente, questo non è l’unico aspetto in cui entra in gioco il diritto all’oblio. C’è infatti un grande divario tra l’eliminazione di un contenuto sul sito della persona interessata e l’eliminazione di una data informazione dalla Rete”.
Il secondo aspetto è strettamente connesso al primo. La domanda che si pone il capo della privacy di Google è questa: “Se ho eliminato un post precedentemente condiviso e qualcun altro copia tale contenuto o immagine e la pubblica sul proprio sito, avrei il diritto di chiedere alla persona che ha compiuto il gesto di eliminare tale contenuto. Ma se la persona dovesse rifiutare o ancora non rispondere cosa potrei fare?” Si potrebbe decidere, suggerisce l’autore, di portare avanti le lunghe e dispendiose procedure giudiziarie o optare per inviare una richiesta di eliminazione alla piattaforma che ospita il contenuto. Dunque, si potrebbe chiedere alla piattaforma di cancellare la foto pubblicata nell’album di un altro utente, senza il consenso del proprietario dell’album. Tale seconda ipotesi, metterebbe la piattaforma in questione, in una posizione molto difficile in quanto dovrebbe destreggiarsi tra il reclamo del soggetto a cui appartiene il contenuto e la libertà di espressione del proprietario dell’album.
Il conflitto tra libertà di espressione e privacy viene ancora trattato nel terzo punto dove l’autore dell’argomentazione esprime il suo scetticismo sul diritto di essere dimenticati in quanto confliggerebbe sempre e comunque con la libertà di espressione di ogni cittadino. Il punto successivo mette in luce le difficoltà riguardanti l’eliminazione di tali contenti. Se le piattaforme avessero l’obbligo di cancellare o rendere anonime tali informazioni una volta che esse non risultino più necessarie per i fini entro i quali sono state raccolte e successivamente trattate, ci si chiede quale sia il periodo di tempo da rispettare e, ancora, quali debbano essere i motivi leciti entro i quali poter conservare e trattare i dati. La conclusione a cui giunge Fleischer è che i termini giuridici che tentano di spiegare i limiti dell’oblio come ad esempio “tutto il tempo necessario” o “per scopi legittimi” non aiutano a definire le questioni controverse del problema.
Nel quinto punto l’autore analizza le difficoltà tecniche per garantire tale diritto. Insegnare alla Rete a dimenticare è cosa molto difficile. Impostazioni che garantirebbero la scadenza dei contenuti e che permetterebbero a questi ultimi di essere rimossi dal mondo virtuale sono di difficile realizzazione. “Tali strumenti non funzionano del tutto”. “Anche se tali strumenti esistono essi non sono in grado di prevenire i problemi di privacy che interessano il diritto all’oblio quando qualcuno copia i contenuti da un sito e si muove verso un altro ancora”. “Tutto ciò – conclude l’autore – fornirebbe una piccola tutela della privacy a livello pratico per gli utenti, ma determinerebbe la perdita di enormi quantità di dati e di tutti i vantaggi in essi contenuti”.
“La Rete – dice Fleischer – non funziona come il cervello umano”. “Nella progettazione dei computer – continua il capo della privacy di Mountain View – non si sono predisposti strumenti che attenuerebbero i ricordi o permetterebbero alle macchine di dimenticare”. L’autore dunque argomenta, anche se minimamente, la parte del dibattito in materia dagli aspetti più sociologici e psicologici. “Il cervello umano deve adeguarsi alle nuove realtà, toccherà a quest’ultimo decidere se dimenticare o ignorare il contenuto nel momento in cui esso stesso è presente e continuerà ad esistere nel cyberspazio”.
Il penulitmo punto tenta di far riflettere su chi debba decidere sui contenuti che per rispetto al diritto all’oblio debbano essere cancellati. Su tale aspetto l’autore cita la sua vicenda personale, riguardo al caso Vividown . “Il web è disseminato di riferimenti circa la mia condanna penale in Italia, ma rispetto il diritto dei giornalisti e di altri di scrivere su tale vicenda senza avere alcuna illusione di poter avere un diritto di eliminare tutti i riferimenti a tale storia col passare del tempo. La storia va ricordata, non dimenticata, anche se essa è dolorosa. La cultura – ribadisce – è memoria”.
Infine, nell’ottavo punto, Fleischer spiega che molte volte le persone non vogliono eliminare il contenuto ma solo cercare di rendere questo difficile da trovare. Questo spiegherebbe “le varie iniziative contro i motori di ricerca volte a eliminare ad esempio i collegamenti da contenuti web come in articoli di giornale. Questo non rappresenta una garanzia voluta e sancita dal diritto all’oblio, ma rappresenta semplicemente un tentativo per rendere alcuni contenuti meno reperibili, anziché eliminarli.
Raffaella Gargiulo