Etica hacker e visione cristiana . Questo il titolo di un recente articolo firmato da padre Antonio Spadaro, critico letterario ed esperto di nuove tecnologie presso la redazione del periodico gesuita Civiltà Cattolica . Un lungo intervento che certamente ha fatto discutere, accomunando due ecosistemi tanto complessi quanto differenti.
Visione cristiana ed etica hacker. Padre Spadaro ha voluto in primis fare chiarezza sulla sostanziale differenza – molto spesso ignorata da film e romanzi – tra i termini hacker e cracker . Sottolineando come il termine hacker individui “una figura molto più complessa e costruttiva”. Colui che si impegna ad affrontare sfide intellettuali per superare creativamente le limitazioni che gli vengono imposte .
“Quella hacker è, insomma, una sorta di filosofia di vita – ha spiegato nel suo articolo padre Spadaro – di atteggiamento esistenziale, giocoso e impegnato, che spinge alla creatività e alla condivisione, opponendosi ai modelli di controllo, competizione e proprietà privata”.
Ma come può accomunarsi il lavoro creativo di un hacker alla visione promossa da Gesù Cristo? Spadaro si è rifatto ad uno dei primi filosofi hacker, quel Tom Pittman membro dell’ Homebrow Computer Club . Secondo il gesuita, “L’hacker ha in effetti una precisa percezione dell’importanza di dare un contributo personale e originale alla conoscenza”.
“Pittman, che si presenta come a Christian and a technologist , interpreta questa azione come una partecipazione emotiva al lavoro creativo di Dio, un lavoro che sviluppa interesse, passione, curiosità, che mette in moto le capacità di chi lo compie non avvilendolo”.
L’hacker sarebbe dunque “un creativo sempre in ricerca. Come cristiano egli vive e interpreta il suo gesto creativo come una forma di partecipazione al lavoro di Dio nella creazione”. Padre Spadaro ha infine sottolineato come una tale etica hacker possa acquistare “persino risonanze profetiche per il mondo d’oggi votato alla logica del profitto, per ricordare che il cuore umano anela a un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi”.
Mauro Vecchio