La morte di Bin Laden, come spesso accade per gli eventi informativi di portata planetaria, è stata una ottima cartina di tornasole delle grandezze e delle fragilità della informazione in Rete, che mostra un vero grande vantaggio ed un vero grande limite rispetto ai cosiddetti “old media”: la sua velocità.
La velocità è una delle ragioni principali per cui l’informazione in Rete sta diventando sempre più importante: non solo i quotidiani, prodotti veloci per antonomasia del secolo scorso, escono ogni mattina nelle edicole carichi della propria completa inattualità ma anche i telegiornali, perfino le rare edizioni straordinarie, sono ormai regolarmente surclassati in termini di velocità dalle notizie pubblicate in Rete. Ed anche le app editoriali, strumenti informativi evoluti e di recente concepimento per iPad ed altri tablet, figlie recenti del contesto informativo digitale, subiscono fortemente la concorrenza temporale del Web, dove tutto appare subito, e si sparge ovunque senza grandi formattazioni.
Oltre ad essere un evidente vantaggio – sappiamo le cose prima, spesso ascoltiamo immediatamente le voci dei testimoni – la velocità è uno dei grandi limiti della nuova informazione mediata dal Web. In nome della velocità, il cui vantaggio competitivo, che ormai si misura in termini di minuti o secondi, molti giornalisti pensano di poter orientare a proprio favore l’attenzione dei lettori, giustificando così le peggiori cadute di tono. Lo scoop applicato alla informazione in Rete è probabilmente una vecchia categoria applicata ad un nuovo mondo: se la stessa informazione circola di bocca in bocca alla velocità del suono chi sia stato il primo emettitore per il lettore non è poi così interessante.
Simili analisi oggi non comprendono più solo la competizione fra i professionisti dell’informazione ma coinvolgono anche nuove figure: esperti delle discipline più varie, blogger, quotidiani web, adoratori di Twitter ecc. Per esempio in USA, fra gli esperti di social media nei giorno scorsi si è riusciti perfino a discutere, producendo ampie analisi e grafici a effetto, di come prima dell’annuncio di Barack Obama dell’avvenuta uccisione di Bin Laden, qualcuno (nel caso ex portavoce di Donald Runsfield, Keith Urbah) avesse anticipato su Twitter di “addirittura” un’ora, il contenuto del messaggio presidenziale. Si trattava di una notizia così importante? La risposta è probabilmente no.
Lo stesso si potrebbe dire a riguardo della improvvisa notorietà che ha raggiunto l’informatico pakistano Sohaib Athar, vicino di casa di Bin Laden, che senza saperlo ha twittato rumori ed atmosfere dell’attacco alla casa del terrorista da parte degli americani, senza avere la minima idea di cosa gli stesse accadendo intorno. Come ha scritto ironicamente Andrea Buoso, giornalista dell’Ansa, al riguardo “Eccolo il Citizen Journalist: qualcuno che gli passa la storia accanto e non ci capisce niente”. Anche in questo caso quella che poteva essere poco più di una curiosità si è trasformata, complice la velocità, in un importante tema informativo approfondito da tutti i media del pianeta. Ne valeva la pena?
La velocità sui nuovi media fallisce spesso il suo ruolo quando i giornalisti, evidentemente compresi nelle vecchie logiche editoriali, scelgono di ignorarla per interesse. Quasi tutti i media italiani (all’estero è accaduto molto meno) hanno abusato delle false immagini del corpo di Bin Laden defunto che sono circolate in Rete nelle ore successive alla sua morte. Si trattava di immagini palesemente ritoccate, rapidamente etichettate come tali dagli esperti. E invece sul Web informativo italiano sono rimaste online per giorni e lo sono tutt’ora pur se condite da pilatesche avvertenze sulla loro falsità. È una informazione a due velocità quella del web professionale nostrano: rapidissimi a mettere in circolazione qualsiasi contributo, anche il più improbabile, senza occuparsi di verificarne la fonte, improvvisamente pachidermici quando si tratterebbe di rimuovere con molte scuse il risultato dei propri errori professionali, che evidentemente creano più pagine viste che imbarazzo.
Essere veloci significherebbe del resto soprattutto questo: un patto di attenzione con i propri lettori che attraverso le possibilità del Web possono essere raggiunti rapidamente con aggiornamenti e nuove informazioni per un numero infinito di volte. Si sbaglia di più nella nuova informazione mediata da Internet ma ci si corregge alla velocità della luce e si dà conto dei propri errori con altrettanta celerità: questo almeno è quello che dovrebbe accadere.
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