Equo compenso, una questione europea

Equo compenso, una questione europea

Il parere della Corte Europea di Giustizia estende il prelievo ai produttori stranieri in casi di importazione. Bisogna remunerare gli aventi diritto. Sempre nei limiti della materia previsti dalla normativa comunitaria
Il parere della Corte Europea di Giustizia estende il prelievo ai produttori stranieri in casi di importazione. Bisogna remunerare gli aventi diritto. Sempre nei limiti della materia previsti dalla normativa comunitaria

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso ieri una sentenza in materia di equo compenso e della sua applicazione alle aziende straniere nell’ottica dell’armonizzazione del mercato comunitario: è giunta alla conclusione che è corretto applicare il relativo prelievo anche ai produttori degli altri stati membri e, conseguentemente , anche gli operatori dell’ecommerce. Così da garantire un’effettiva riscossione dello stesso.

Il caso oggetto della pronuncia pregiudiziale riguarda il procedimento C-462/09 che vede contrapposte la Stichting de Thuiskopie, organismo olandese incaricato della riscossione del prelievo per copia privata, e la Opus Supplies Deutschland GmbH, una società con sede in Germania che vende, tramite Internet, supporti di riproduzione vergini.
Al centro della vicenda vi è il pagamento da parte di quest’ultima del prelievo dell’ equo compenso corrisposto ai titolari dei diritti d’autore in base all’eccezione della copia per uso privato.

Il contratto di vendita predisposto da Opus prevede che quando un consumatore olandese effettua un ordine online, le merci siano spedite dalla Germania verso i Paesi Bassi in nome e per conto del cliente : in questo modo Opus non paga un prelievo per copia privata per i supporti venduti ai suoi clienti nei Paesi Bassi, né in tale stato membro né in Germania, in quanto riteneva in questo modo di sfuggire alla definizione di esportatore e al pagamento dell’equo compenso .
Su questa base, peraltro, si era visto dar ragione dal primo e secondo grado di giudizio olandese . Arrivata in Cassazione la situazione è stata demandata per un giudizio preliminare alla Corte di Giustizia , invitata così ad esprimersi sull’armonizzazione del diritto d’autore e la questione attinente i rapporti import/export tra due stati membri.

Sulla base della direttiva 2001/29/CE , sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, le autorità europee hanno innanzitutto sottolineato l’importanza della proprietà intellettuale, dei compensi dovuti agli artisti e le eccezioni previste dalle singole normative: hanno così legittimato la richiesta di un equo compenso “affinché siano adeguatamente indennizzati per l’uso delle loro opere o dei materiali protetti” nei casi di eccezione previste.
La Corte, peraltro, si era già dovuta esprimere sull’equo compenso arrivando a stabilire che gli Stati membri possono esigere il pagamento di un equo compenso per copia privata solo in relazione a tipologie di dispositivi e supporti effettivamente “destinati”, e non già semplicemente “idonei”, alla registrazione di copie private.

Insomma, non parla di riscossione indiscriminata, ma di casi specifici così come d’altronde prevede la normativa olandese sul diritto d’autore: afferma che tale equo compenso al detentore dei dir4itti sia dovuto nei casi espressamente previsti come eccezione al diritto d’autore e non sua violazione e cioè quando vi è la “riproduzione totale o parziale dell’opera su un supporto destinato alla rappresentazione di un’opera, sempre che la riproduzione avvenga senza fini commerciali diretti o indiretti e serva esclusivamente all’esercizio, allo studio o all’uso da parte della persona fisica che effettua la riproduzione”.
L’equo compenso così previsto grava sui produttori di tali supporti o al momento dell’immissione sul mercato o della sua importazione sul mercato olandese se proveniente da azienda straniera .
Sostenendo che Opus fosse “da considerarsi importatore ai sensi della legge sul diritto d’autore e, quindi, debitore del prelievo per copia privata, la Stichting aveva chiesto il dovuto”.

La tedesca aveva invece cercato di far affermare il principio per cui fossero i singoli clienti da considerare importatori e quindi in quanto tali spettasse a loro il pagamento dell’equo compenso, che diventava in questo modo “irrecuperabile in quanto il singolo acquirente è in concreto difficilmente identificabile”.

La Corte ha deciso in senso pratico da questo punto di vista: “È necessario rilevare che le disposizioni della direttiva 2001/29 non indicano espressamente chi sia obbligato al suo pagamento, per cui gli Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale per determinare chi sia tenuto a corrispondere tale equo compenso”.
Dunque, “tenuto conto delle difficoltà pratiche per individuare gli utenti privati nonché per obbligarli a indennizzare i titolari dei diritti del pregiudizio loro procurato, è consentito agli Stati membri istituire, ai fini del finanziamento dell’equo compenso, un prelievo per copia privata a carico non dei soggetti privati interessati, bensì di coloro che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione digitale e che conseguentemente, di diritto o di fatto, mettono tali apparecchiature a disposizione dei soggetti privati ovvero rendono loro un servizio di riproduzione”.

In Olanda, inoltre, il dibattito sull’equo compenso è acceso, tanto che vi sono delle proposte di legge per eliminarlo.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
17 giu 2011
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