Italia, rimosso il blocco Moncler

Italia, rimosso il blocco Moncler

Accolto il ricorso dei provider: il Tribunale ha rilevato la non proporzionalità della misura precedentemente adottata. Oscurare non sarà (più) così facile
Accolto il ricorso dei provider: il Tribunale ha rilevato la non proporzionalità della misura precedentemente adottata. Oscurare non sarà (più) così facile

Il Tribunale di Padova ha annullato la decisione emessa a fine settembre che oscurava 500 siti in seguito ad una denuncia di Moncler .

Il GIP di Padova aveva ordinato il sequestro di questi siti, tutti accusati di violazione di marchio aziendale dell’azienda francese. Fra questi 493 siti oscurati, tuttavia, molti non erano attivi e altri avevano richiamato il marchio francese senza alcun scopo di lucro: sembravano, in effetti, collegati solo dal fatto di richiamare nel nome a dominio la parola Moncler.

La violazione degli articoli 474 e 517 del codice penale, che parlano dell’introduzione e della vendita di prodotti industriali contraffatti, sembrava quindi aver creato effetti devastanti sul Web: la colpa di alcuni siti, peraltro in alcuni casi registrati all’estero e gestiti da cittadini cinesi, ha spinto il Tribunale di Padova ad una decisione che arriva a condannare preventivamente tutti i siti che hanno usato anche non per fini commerciali il marchio Moncler, una lettura che andrebbe decisamente oltre il disposto normativo e l’esclusiva garantita al titolare del marchio dallo strumento del marchio commerciale.

La decisione aveva chiamato in causa i 27 provider dei siti interessati, che erano stati contattati per eseguire il blocco degli indirizzi mediante DNS e che avevano di conseguenza deciso di partecipare al procedimento in quanto terzi interessati.

Nel loro ricorso hanno sostenuto sostanzialmente tre tesi: innanzitutto che la disposizione violi il principio del “numero chiuso degli strumenti cautelati”, in quanto chiede qualcosa di più rispetto alle ipotesi espressamente previste dalla legge in materia di sequestri preventivi; affermano poi che la misura sia abnorme, dal momento che dispone il blocco di quasi 500 siti senza che ne fosse prima verificato il contenuto , fatto che violerebbe il principio di proporzionalità e adeguatezza della misura reale ; infine, nel ricorso i provider affermano che manca il fumus commissi delecti e il periculum in mora : non vi sarebbero, insomma, concreti elementi di prova dei comportamenti illeciti contestati ai siti bloccati.

Secondo la nuova disposizione del giudice gli elementi sottoposti dai provider sono fondati e quindi “il ricorso va accolto”. Dalle motivazioni si evince altresì che per il blocco precedente il tribunale si era basato solo su quanto sostenuto dall’accusa e dal fatto che nel loro nome a dominio vi fosse un qualsiasi tipo di riferimento a Moncler.

Insomma, il ricorso ora accolto rappresenta la prima occasione in cui il tribunale accetta di ascoltare le ragioni dei provider in caso di sequestri di siti da essi considerati illeciti e apre alla possibilità per gli ISP di opporsi a questo tipo di decisioni.

In seguito ad esso, poi, il Tribunale ha dato concretamente un’occhiata ai siti bloccati, accorgendosi che molti potrebbero in effetti commerciare in capi originali, mentre altri non utilizzano affatto il nome per scopi di lucro. In pratica, per ottenere il blocco di siti ritenuti in violazione, ora i ricorrenti dovranno dovranno portare nella denuncia elementi sufficienti a giustificare l’eventuale misura.

Rilevante , inoltre, il passo indietro anche dal punto di vista delle responsabilità dei provider, che sembravano con la prima decisione assunti ad un ruolo di “sceriffi” di fatto della Rete essendo obbligati a bloccare preventivamente i siti.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
7 nov 2011
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