Un breve post di David Weinberger di qualche giorno fa lasciava balenare l’ipotesi che, anche in Italia, stia per iniziare l’avventura politica del Partito Pirata. Il Partito Pirata italiano , che esiste dal 2006 come associazione senza fini di lucro che si occupa di “cultura, diritti d’autore, copyright e privacy”, si appresterebbe quindi a seguire l’avventura parlamentare di movimenti simili che hanno candidato propri rappresentanti a recenti elezioni in Svezia e Germania, talvolta con discreto successo.
Io non ho idea se ciò avverrà, non so se nelle schede elettorali delle prossime elezioni italiani potremo trovare il simbolo della goletta nera dei pirati che si batte per tutelare la privacy ed i diritti dei cittadini della rete, per ridiscutere il copyright e favorire la condivisione delle informazioni: per la verità non sono nemmeno completamente sicuro che si tratti di una buona idea.
Il Partito Pirata in Europa ha raccolto voti fra i più giovani, fra le classi meno abbienti che hanno dimestichezza con la tecnologia ed Internet, che ne comprendono le dinamiche, il grande valore potenziale ed i gravi rischi legati ai molti tentativi di controllo. La sua miglior prestazione elettorale l’hanno ottenuta a Berlino alcuni mesi fa, associando ai temi legati ad Internet proposte di programma di facile presa come il reddito di cittadinanza e la gratuità dei trasporti pubblici.
In Italia una proposta politica del genere si scontrerebbe con due grandi limiti: quello di un elettorato anziano e mediamente non troppo edotto sulle nuove tecnologie e quello di una discreta sovrapposizione di programma, per ciò che attiene ai temi di trasparenza amministrativa mediata dalla tecnologia, con schieramenti preesistenti come il Movimento 5 Stelle ed i Radicali.
D’altro canto la giovinezza è il cimitero della complessità ma è anche, contemporaneamente, l’unica maniera per cambiare le cose in tempi brevi e dal profondo. In un paese come il nostro, che della sua barocca complessità ha fatto un vero e proprio tratto distintivo, l’energia di una nuova compagine giovane, capace di cavalcare temi che quasi nessuno tocca e che invece sono oggi il punto di svolta di molte delle scelte economiche del prossimo futuro, potrebbe comunque essere un elemento positivo, anche di fronte ad una probabile debacle numerica.
Personalmente detesto il nome “Partito Pirata”: continuo a non vedere alcun valore nella pirateria, non mi piacciono gli arrembaggi alla Capitan Uncino, trovo che la definizione sia fonte di grandi equivoci. In ogni caso, al di là del nome sfortunato, non c’è paese peggiore dell’Italia per sperare di ricevere attenzione per argomenti come la riduzione del copyright , il fair use , la trasparenza amministrativa, la tutela della privacy.
L’altro aspetto di debolezza del messaggio politico di simili movimenti Internet è che non esiste la possibilità di scindere in maniera netta i temi della rete, dal restante contesto sociale ed economico. La riforma del copyright non può essere imposta dall’alto, una rete neutrale si costruisce di concerto con i tanti soggetti che ne sono interessati, l’inclusione sociale non si ottiene con uno schiocco di dita. Un programma politico che immagini una rivoluzione profonda dello Stato a partenza da simili principi è difficile anche solo da immaginare. L’unico percorso possibile per chi si pone simili obiettivi è quello di una graduale armonica integrazione fra i temi di politica delle reti e quelli della gestione politica del Paese che coinvolga il maggior numero di soggetti possibili. Come diciamo sempre, la riscoperta di una nuova normalità che abbia Internet come centro ideologico è la premessa a qualsiasi scelta virtuosa nei confronti del ruolo delle nuove tecnologie dentro la nostra società. In altre parole prima si costruisce una consapevolezza e poi si decide di conseguenza. Da questo punto di vista il valore di un ipotetico Partito Pirata potrà essere semplicemente quello di moltiplicare le occasioni di presa di contatto con i temi internet ed anche quello di incanalare una quota di un voto di protesta delle tante persone che aspettano di vedere il paese collegato in maniera ampia e efficiente, perché sanno che attraverso simili contesti passa la crescita della nazione. Le tante persone che preferirebbero una paese collegato in banda larga piuttosto che collegato da ponti sullo stretto di Messina, quelle stesse persone che sono stufe di sentire i politici che discutono di NGN ragionare sul numero di posti di lavoro che si creerebbero per scavare le buche per la fibra nelle strade delle nostre città.
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