I problemi con la libertà d’espressione in Thailandia non sono una novità: diverse ONG, in queste ore, si sono mobilitate a difesa della libertà d’espressione.
Uno dopo l’altro, nel giro di pochi giorni, si sono verificati due casi rilevanti di censura : il primo ha visto come vittima Amphon Tangnoppaku. Sessantuno anni, pensionato, destinatario di assistenza medica dal 2007 a causa di un tumore alla bocca, è stato accusato di aver inviato, nel maggio del 2010, quattro SMS dal contenuto offensivo nei confronti della Regina ad una segretaria personale dell’allora Primo Ministro thailandese Abhisit Vejjajiva. L’imputato si è difeso dicendo di non avere nemmeno familiarità con la funzione di scrittura dei telefoni cellulari e di non conoscere il destinatario del messaggio. Difesa non giudicata sufficiente dalla Corte, che lo ha ritenuto colpevole di quattro capi d’accusa in base alle leggi sulla lesa maestà e sui crimini informatici, condannandolo a 5 anni di reclusione per ogni capo d’accusa .
Amnesty International (ma anche la Asian Human Rights Commission) ha criticato la sentenza, richiamando il governo del paese asiatico al rispetto della libertà d’espressione : “La Thailandia ha tutto il diritto di avere una legge sulla lesa maestà, ma la forma e l’applicazione attuali mettono il paese in una posizione di violazione dei suoi impegni internazionali – ha commentato Benjamin Zawacki Zawacki, di Amnesty – La repressione resta all’ordine del giorno in Thailandia per quanto riguarda la libertà d’espressione e Amphon è un prigioniero politico”.
Due giorni dopo questa sentenza, il Ministro dell’Informazione thailandese Anudith Nakornthap ha annunciato un giro di vite nei confronti di Facebook con la richiesta di eliminazione di contenuti offensivi verso la monarchia. “Ci sono più di 10.000 indirizzi che sembrano insultare la monarchia”, ha dichiarato, aggiungendo poi che qualsiasi like o commento su post ritenuti “offensivi” sarebbe stato considerato diffusione indiretta del materiale, quindi punibile.
Nelle ultime settimane, peraltro, sono comparse diverse pagine Facebook a favore della monarchia, tra cui una che incoraggiava gli utenti a segnalare contenuti che potessero essere considerati violazione delle leggi sulla lesa maestà.
Interpretando letteralmente le leggi locali lo stesso Zuckerberg potrebbe essere soggetto a condanna da parte delle autorità giudiziarie thailandesi, dato che la normativa in merito considera responsabili “i proprietari di un sito per qualunque cosa scritta sul sito stesso”, insieme all’autore del contenuto. Chiaramente un’ipotesi simile sembra abbastanza implausibile, considerando il clamore mediatico che susciterebbe. Le autorità thailandesi hanno preferito chiedere la collaborazione di Facebook piuttosto che recapitargli un mandato di comparizione.
Associated Press ha reso note delle statistiche da cui si evidenzia una tendenza crescente dei reati di lesa maestà : uno nel 2000, 18 nel 2005 e 36 nel 2010. Repressione e detenzione sono strumenti il cui utilizzo cresce proporzionalmente all’instabilità di un paese ed è proprio questo il caso della Thailandia, teatro nel 2006 di un colpo di stato militare che ha dato inizio a un periodo di forte agitazione politica e violenza per le strade.
Elsa Pili