Nella notte italiana, all’alba agli antipodi, Dotcom (già Kim Schmitz, personaggio elusivo e in passato in odore di truffe con lo pseudonimo hacker kimble ) e tre suoi soci sono stati arrestati dalla polizia della Nuova Zelanda in seguito a un mandato di cattura spiccato in Virginia (USA). Dotcom è il fondatore di Mega, la catena di siti dedicati al file sharing che comprende Megaupload, Megavideo, Megaporno e altri più piccoli siti satellite. Mega è la più rappresentativa realtà dei cosiddetti cyberlocker , ovvero la nuova frontiera della condivisione dei contenuti su Internet: niente più P2P, niente eMule o BitTorrent, bensì siti Web dove trovare il materiale, scaricarlo o visionarlo in streaming. I siti del circuito Mega sono offline da questa notte.
Nell’ambito dell’operazione sarebbero state eseguite 20 perquisizione sul suolo degli Stati Uniti e 8 all’estero. 50 milioni di dollari in beni sarebbero stati sequestrati. Gli inquirenti hanno anche messo le mani su un numero imprecisato di server e bloccato 18 domini facenti capo a Mega. Secondo le accuse, il 37enne Dotcom avrebbe guadagnato non meno di 175 milioni di dollari dalle sue attività definite illecite : le cifre snocciolate dall’FBI parlano di 150 milioni di utenti iscritti ai servizi Mega, che comprendevano video in streaming e “armadietti digitali” per lo scambio di film, musica e materiale pornografico, con un traffico giornaliero di circa 50 milioni di utenti.
Secondo quanto si apprende dalle agenzie , in totale sarebbero 7 gli individui coinvolti nell’operazione portata avanti dagli inquirenti statunitensi: 3 di questi mancherebbero all’appello, mentre gli altri quattro (tra cui appunto Dotcom), sono stati rintracciati ad Auckland in Nuova Zelanda e condotti davanti a un giudice per la prima udienza di convalida dell’arresto. A Dotcom e compagni, stando a quanto riportato, sono stati anche sequestrati circa 8 milioni di dollari in contanti (posti immediatamente in un fondo a garanzia del procedimento), più un paio di fucili e un numero consistente di automobili di lusso e opere d’arte il cui valore complessivo si aggirerebbe attorno ai 5 milioni di dollari.
Nonostante i fermi siano stati effettuati e convalidati (in tribunale Dotcom ha detto al giudice che “non abbiamo nulla da nascondere”, accettando di essere ripreso e fotografato dai media durante l’udienza), e si attenda per lunedì l’avvio delle pratiche di estradizione negli USA , la vicenda legale si preannuncia complessa. Dotcom (il cui vero nome è Kim Schmitz, già anche Kim Tim Jim Vestor, ma che ha ottenuto legalmente di cambiare le sue generalità con il suffisso dei domini commerciali), cittadino con passaporto tedesco e finlandese, con residenza a Hong Kong e Nuova Zelanda, è infatti accusato di un reato nella giurisdizione degli Stati Uniti per via di alcuni server affittati che si troverebbero sul suolo americano. Assieme a lui sono stati fermati due altri cittadini tedeschi e uno con passaporto olandese, mentre restano ricercati un tedesco, uno slovacco e un estone.
Ufficialmente, le attività di Mega hanno base a Hong Kong . Il procedimento statunitense, come detto, ha invece avuto origine in Virginia: secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, alcuni server localizzati ad Ashburn sarebbero stati noleggiati per sostenere le attività di file sharing, da qui la ricaduta sotto la giurisdizione USA del procedimento. Le accuse mosse a Dotcom e compagni sono di violazione del copyright, riciclaggio e associazione a delinquere (nella variante della legge statunitense si parla di “racketeering”): attraverso la promozione di ricompense per gli utenti che avessero messo a disposizione materiale o per le aziende che avessero accettato di ospitare i file, e la vendita di abbonamenti al servizio per garantire ai navigatori download più veloci, gli accusati avrebbero dunque tratto profitto da attività ritenute illecite. Nel complesso, le pene previste per i reati contestati potrebbero condurre a una condanna fino a 50 anni di carcere , più eventuali risarcimenti pecuniari.
Uno dei legali di Mega, Ira P. Rothken, intervistato dal New York Times ha rigettato ogni accusa : “Megaupload ritiene che il governo abbia sbagliato nell’interpretare i fatti e la legge”. Stando a quanto sostenuto dall’FBI nel comunicato stampa che illustra la vicenda, a nulla però servirebbero le argomentazioni di Mega secondo cui la mancata messa a disposizione di un motore di ricerca interno per il materiale dimostrerebbe la buona fede dei creatori del servizio: vere e proprie “strategie di marketing” sarebbero state messe in atto per promuovere altrove l’indicizzazione e la diffusione dei link al materiale ritenuto illegale ospitato dai server degli accusati. Inoltre, tra le carte del procedimento figurerebbero molteplici scambi epistolari tra gli imputati che dimostrerebbero l’assoluta consapevolezza della presenza di materiale protetto da copyright a disposizione attraverso i propri servizi.
Dotcom non risulta al momento il CEO, ovvero l’amministratore delegato di Mega: questo ruolo, un tempo suo, sarebbe oggi occupato da Swizz Beatz , musicista di origine portoricana (quindi cittadino USA), meglio noto come il marito della più famosa cantante Alicia Keys . A quanto si apprende, Beatz (all’anagrafe Kasseem Dean) non risulta al momento coinvolto a nessun titolo nell’inchiesta e non ha rilasciato dichiarazioni. Ma la sua figura e il suo ruolo nell’attività di Mega è emblematico della complessa questione che riguarda il sito e il movimento dei cyberlocker : Beatz è un musicista e un produttore, e non è l’unico nel mondo della musica a non aver snobbato le capacità e la portata dei servizi di Mega. Nelle scorse settimane le polemiche si erano accese attorno a un controverso video di sostegno e pubblicità a Megaupload che vedeva coinvolte star di primo piano del panorama USA, poi rimosso dalle pagine di YouTube in seguito a un ricorso ( anch’esso controverso ) presentato da Universal Music Group.
Al contrario di quanto visto nella vicenda The Pirate Bay , inoltre, Dotcom e Mega non hanno mai escluso la collaborazione con l’industria dei contenuti. Piuttosto, almeno a parole, hanno sempre dichiarato la propria disponibilità a discutere con major e studios per trovare una nuova strada di distribuzione e monetizzazione alla luce delle novità nelle abitudini e nei gusti dei consumatori. Appelli fin qui mai raccolti: le posizioni sono rimaste molto distanti, con Mega a sostenere la assoluta legittimità del proprio operato, e l’industria ad annunciare milioni, centinaia di milioni di mancati introiti derivanti dal file sharing incontrollato di materiale protetto attraverso i siti del circuito “pirata”. Dotcom e soci, forse con una non troppo celata ironia, avevano sempre ribadito la propria disponibilità a dialogare: “Abbiamo delle buone idee (…) Se l’industria dei contenuti vuole approfittare della nostra popolarità, ci faccia un colpo di telefono”.
Fin qui i fatti della Nuova Zelanda. Le prime reazioni arrivano invece dagli USA: pochi minuti dopo la pubblicazione della notizia, il collettivo hacktivista Anonymous ha subito iniziato un’offensiva DDoS all’indirizzo dei siti del Dipartimento di Giustizia USA (DoJ), FBI, Universal, BMI (l’associazione delle etichette discografiche), RIAA e MPAA (le associazioni dei produttori musicali e cinematografici statunitensi), causando l’effettiva indisponibilità dei rispettivi servizi per diverse ore. Un presunto portavoce avrebbe rivendicato l’attacco, confermato anche dall’FBI che starebbe svolgendo indagini al riguardo .
Più pacato, ma non meno deciso, l’approccio di Electronic Frontier Foundation ( EFF ): “(L’arresto, ndr) è un terribile precedente. Se gli Stati Uniti hanno il potere di fermare un cittadino olandese in Nuova Zelanda sulla base di una presunta violazione del copyright, cosa ci aspetta?”.
Il procedimento legale era partito lo scorso 5 gennaio con il deposito presso la Corte Distrettuale Est della Virginia delle carte con cui le autorità federali accusano Dotcom e i suoi soci, ma è rimasto segreto fino all’esecuzione dell’operazione di perquisizione e agli arresti di ieri. Poco prima di finire offline, su Megaupload era stato anche pubblicato un comunicato di sostegno alla protesta contro i progetti di legge SOPA e PIPA : nel testo si definiva le accuse di violazione del copyright rivolte a Mega “grottescamente eccessive”, ribadendo che la maggioranza del traffico sui servizi Mega sarebbe stata “legittima”.
L’operazione sarebbe la più imponente mai messa in atto negli USA per il contrasto alla pirateria. Non risulta alcuna indagine portata avanti nei confronti degli utenti dei servizi : gli inquirenti si sarebbero concentrati unicamente sulle attività dei gestori del circuito Mega.
Luca Annunziata