Gli esperti di biotech dell’Università di Harvard l’hanno fatto ancora: dopo la realizzazione del polmone-su-chip nel 2010, ora i ricercatori USA hanno applicato lo stesso concetto di “organo in vitro” a un pezzetto dell’intestino umano. L’obiettivo, ancora una volta, è riuscire a fare a meno della vivisezione, che per di più nel caso in oggetto è spesso inutile.
L’intestino-su-chip di Harvard (Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering) ha dimensioni più o meno simili a quelle di una chiavetta USB, all’interno contiene un tubulo centrale formato da un singolo strato di cellule epiteliali e due cavità vuote (sopra e sotto le cellule umane) per simulare il flusso sanguigno nell’organo umano.
Grazie a una pompa collegata al dispositivo, i ricercatori possono simulare il movimento dei muscoli nel corpo del paziente “somministrando” i farmaci da testare alle cellule presenti all’interno del tubulo. Completa il setup biotecnologico una coltura di flora intestinale fatta sviluppare dai ricercatori, un “tocco” che rende ancor più realistico il dispositivo in funzione di test su farmaci.
Avere a disposizione un sistema sintetico biotecnologico per testare molecole farmacologiche sarebbe oltremodo di aiuto alla ricerca, dicono gli scienziati di Harvard, eliminerebbe la necessità di ricorrere a cavie animali e aumenterebbe il livello di accuratezza dei test: oggi gli esperimenti sugli animali non riescono a replicare a dovere le condizioni ambientali presenti all’interno degli intestini di pazienti umani.
Alfonso Maruccia