Nell’estate del 2009 descrivevo i possibili sviluppi delle interfacce uomo-computer, considerando anche le possibili evoluzioni dell’ hardware . La strada intravista in quell’occasione cominciò a diventare più evidente l’anno successivo , quando Apple introdusse il Magic Tackpad : si trattava di un modo come un altro per portare sul Mac tutte quelle gesture diventate di uso comune sugli schermi touch di smartphone e tablet.
Ho già avuto modo di raccontare come un approccio semplificato all’informatica possa essere più che sufficiente per molti utenti consumer (o anche per alcuni utenti professionali, in determinati ambiti o per utilizzi specifici) e la nuova generazione di tablet, che si tratti di iPad o di un qualsiasi tablet Android, ha segnato l’inizio di quella che molti chiamano “l’era Post-PC”, definizione che per il momento non mi sento di condividere completamente: è vero che il tablet può sostituire il PC in alcune situazioni (anche completamente per alcuni utenti) ma, non potendolo rimpiazzare in tutto e per tutto, per il momento resta ancora un dispositivo che affianca il normale computer. L’era Post-PC non è ancora arrivata.
Detto questo non possiamo dimenticare che, nel solo 2011, Apple ha venduto più dispositivi iOS di quanti Mac abbia mai venduto in tutta la sua storia; anche guardando all’ ultimo trimestre fiscale non è difficile notare come, pur tralasciando iPod Touch (le cui cifre di vendita non sono certo esigue ma quantificabili tra i 15 e i 20 milioni di unità) sommando le vendite di iPhone e iPad si ottiene un numero che è 10 volte quello dei Mac. A fronte di questi numeri non dovrebbe sorprendere più di tanto il fatto che Apple punti, almeno in parte, a ricreare sul Mac la stessa esperienza d’uso che gli utenti già conoscono tramite iOS: per Apple non si tratta solo di sperimentare nuove forme di interazione tra l’utente e il computer, ma anche di un modo per conquistare nuovi utenti nel settore desktop, conquistarli offrendo loro un’ambiente già noto e una metodologia d’uso col quale hanno già dimestichezza.
La convergenza delle interfacce non è certo una prerogativa di Apple, ma ognuno la affronta in modi diverso: di seguito andremo ad esaminare come si stanno muovendo i tre principali attori del settore computer e mobile, ovvero Microsoft, Apple e Google. L’analisi partirà da Apple perché temporalmente è quella che ha iniziato per prima questo processo e perché, guardando a quello che possiamo trovare ora sul mercato, è quella che (con i suoi pro e contro) ha fatto più passi in questi direzione e offre maggiori spunti di discussione.
Al di là del lancio del Magic Trackpad di cui abbiamo parlato sopra, l’arrivo del Mac App Store a inizio 2011 (omologo dell’iTunes App Store per iOS), e l’uscita di Lion nell’estate dello stesso anno, hanno segnato l’inizio vero e proprio alla convergenza: Apple ha unificato l’aspetto grafico di alcune applicazioni (in particolare agenda e rubrica, che in Lion sono esteticamente identiche alla controparte su iPad), ha portato sul Mac il concetto di applicazioni a pieno schermo (concetto un po’ diverso da quello di una finestra a pieno schermo, visto che presuppone anche un adattamento dell’interfaccia), ha implementato le gesture per scorrere gli spazi di lavoro (così come su iPad si scorrono le applicazioni aperte in multitasking), e ha migrato da iOS intere applicazioni come Facetime e Launchpad (una sorta di layer per avviare le applicazioni in stile iOS, che a mio avviso andrebbe rivisto per offrire qualche possibilità in più di personalizzazione).
L’annuncio di Mountain Lion non ha fatto che rafforzare le similitudini con iOS : nella prossima versione del sistema operativo per Mac, Apple aggiungerà applicazioni come “note” e “promemoria” (sincronizzabili attraverso iCloud), rimpiazzerà iChat con un’applicazione in grado di scambiare messaggi con iOS, e porterà anche su Mac il centro notifiche. Tra le altre novità derivate da questo processo di convergenza, non mancano quelle soggette a critiche più meno feroci, in particolare Gatekeeper : una sorta di “centro di controllo” in grado di verificare la provenienza delle applicazioni e il relativo certificato digitale che le associa in modo univoco allo sviluppatore. Secondo alcuni l’integrazione di questo sistema di controllo prelude ad un futuro in cui si potranno installare solo applicazioni provenienti dal Mac App Store , come a sigillare una transizione definitiva di OSX verso iOS (dove da sempre, jailbreak a parte, si possono installare solo applicazioni provenienti da iTunes App Store). Nonostante le polemiche, dalle preferenze di Mountain Lion sarà possibile decidere se installare software proveniente solo del Mac App Store, applicazioni di altra provenienza ma comunque certificate, oppure qualsiasi tipo di applicazione: per il momento non c’è quindi alcuna forzatura in tal senso.
Al di là di questo, è evidente che l’attuale processo di convergenza messo in atto da Apple veda più OSX avvicinarsi a iOS che non il viceversa, una tendenza spiegata sia da questioni numeriche dei dispositivi venduti (come visto sopra) sia dal fatto che iOS offra un maggior ventaglio di novità rispetto alla classica metafora del desktop che è nata quasi trent’anni fa. Dietro il vantaggio di un’uniformità di interazione con i diversi tipi di dispositivi si nascondono anche alcuni difetti: prima di tutto, per poter sfruttare al meglio l’interazione tramite gesture è indispensabile utilizzare un trackpad, che sia quello integrato nei portatili oppure il Magic Trackpad da affiancare alla tastiera; una possibile alternativa è rappresentata dal Magic Mouse ma in questo caso le possibilità di interazione sono più limitate (e anche più scomode).
Utilizzando un mouse normale si rinuncia alla gesture , e per chi vuole affiancare un mouse ad un trackpad (situazione più che comune quando è richiesta la precisione che solo un mouse può dare) lo spazio sulla scrivania aumenta: forse non è un caso che Apple, da un po’ di tempo a questa parte, proponga tastiere senza tastierino numerico. Questioni hardware a parte, l’attuale versione di OSX mostra alcune disuniformità di interfaccia legate al momento di transizione: l’obiettivo è quello di trarre vantaggio dall’utilizzo delle applicazioni a pieno schermo, ma questo presuppone un lavoro di adeguamento dell’interfaccia da parte degli sviluppatori, e comunque per alcune applicazioni potrebbe non aver senso lavorare a tutto schermo (la stessa rubrica indirizzi di Apple non prevede questa possibilità). Non mancano inoltre diverse critiche ad alcune funzionalità modificate o rimosse, come il salvataggio automatico delle diverse versioni di ogni documento (accompagnato dalla sparizione del “Salva con nome…”) o l’eliminazione delle frecce per lo scrolling dei documenti (inutili se si utilizzano le gesture di scrolling dinamico, ma potenzialmente utili per chi utilizza un mouse “normale”).
L’idea di Apple è presumibilmente quella di semplificare l’interazione, come avviene con iOS, ma davanti ad un computer si lavora in modo un po’ diverso e alcune differenze devono necessariamente rimanere: chissà se con Mountain Lion riusciranno ad aggiustare un po’ il tiro, procedendo nella convergenza, ma lasciando il giusto spazio di azione anche alle caratteristiche più specifiche di OSX. Parlando più in generale dell’interazione uomo-macchina e dell’evoluzione a cui stiamo assistendo in questi anni, verrebbe da chiedersi se il futuro delle interfacce passerà davvero attraverso un utilizzo intensivo di gesture . Pensando alle ipotesi fatte in alcuni film di fantascienza verrebbe da rispondere “sì”: basti pensare ad uno degli esempi più classici, quello del film Minority Report , dove si interagisce con schermi olografici tramite gesture eseguite direttamente nello spazio tridimensionale. Questo tipo di interazione richiama alla mente la tecnologia kinect di Microsoft, tecnologia sicuramente interessante ma che personalmente vedo ancora poco applicabile nell’interazione quotidiana con computer e tablet, mentre potrebbe trovare maggiori applicazioni in salotto, per interagire con console, Media Center o prodotti analoghi. In ogni caso, che sia più o meno futuribile, questo spunto ci offre l’aggancio per parlare di come si stanno muovendo a Redmond.
Microsoft, con Windows 8 , porterà sui sistemi desktop le “mattonelle” introdotte con Windows Phone: anche in questo caso si assiste quindi all’integrazione su un sistema desktop di funzionalità sperimentate prima nel settore mobile. Nonostante la similitudine di questa idea di base, l’approccio di Microsoft mostra delle differenze sostanziali rispetto a quello di Apple. La casa della mela mantiene (almeno per ora) una precisa distinzione tra i due mondi, “limitandosi” a portare su OSX alcune funzionalità di iOS ma mantenendo ben distinti i due sistemi (nonché i relativi store, con conseguente doppia possibilità di guadagno) e riservando ai due ambienti diversi compiti: non è possibile, per esempio, sviluppare un’App direttamente in iOS. Microsoft punta invece a realizzare un unico sistema operativo , sia per desktop che per tablet, sia per Intel che per ARM , un sistema che contemporaneamente metta a disposizione dell’utente due diverse interfacce.
Dietro le tiles di Windows 8 c’è il classico desktop, sempre pronto a far girare il software più tradizionale in un ambiente già noto e iper-collaudato (a parte alcuni fattori estetici, molte finestre di configurazione sono esattamente identiche a com’erano in Windows 95). Anche l’approccio di Microsoft presenta tanto vantaggi quanto difetti: il vantaggio principale è che lo stesso software potrebbe girare sia su un computer desktop che su un tablet o, meglio ancora, su un dispositivo “convertibile” che possa fare da tablet in mobilità sfruttando l’interfaccia Metro, ma che possa essere collegato a monitor, mouse e tastiera per funzionare anche come computer fisso (utilizzando in tal caso l’interfaccia più classica). A mio avviso il problema principale di questa unificazione globale è che ci saranno software dedicati esclusivamente all’interfaccia Metro che su desktop rischiano di essere troppo semplificati, e software che continueranno a funzionare nel classico desktop, quasi inutilizzabile su un tablet. Tutto questo senza considerare eventuali ulteriori distinzioni relative al processore.
L’interfaccia Metro sembra poco adatta ad un utilizzo desktop tradizionale (così com’è poco adatto, a mio avviso, il Launchpad di Lion) e con tutta probabilità in molte situazioni continueremo ancora per molto tempo a vedere utilizzato l’ambiente più classico: chiunque abbia installato la beta di Windows 8 avrà notato come sia innaturale sbloccare lo schermo utilizzando il mouse (un gesto invece più che natuarale da effettuare con le dita su schermo touch) o accedere alla seconda finestra delle tiles scorrendo la barra inferione, come se fossimo in un’enorme finestra… tiles che comunque richiamano in molti casi l’ambiente classico, che a sua volta (a mio avviso) su di un tablet è tutto fuorché comodo.
Per certi versi, e con le dovute cautele per comprendere le situazioni differenti ed evitare paralleli troppo spinti, la situazione è simile a quando (nei primi anni ’90) sui PC giravano MS-DOS e Windows 3.11, ognuno come se fosse una cosa a sé stante con le proprie applicazioni distinte. Dove sta allora il reale vantaggio di una simile scelta? Per l’utente si potrebbe prospettare l’utilizzo di macchine “ibride”, notebook ai quali staccare il monitor da portare in giro come tablet (con potenziali limiti di autonomia) oppure tablet che posizionati in un apposito dock e collegati a video, tastiera e mouse, si comportano come normali computer (con i dovuti limiti di potenza). Dal punto di vista di Microsoft c’è inoltre un ulteriore vantaggio: nel mercato mobile la società di Redmond sta partendo da una posizione svantaggiata ma, se l’utente che utilizza il normale computer (dove Microsoft è in stragrande maggioranza) si abituasse all’interfaccia Metro di Windows 8, ci sarebbero maggiori probabilità che quando comprerà un tablet si rivolgerà a qualcosa che già conosce: un percorso esattamente inverso a quello che sta cercando di fare Apple, che partendo da una posizione di maggioranza nel settore dei tablet, cerca di conquistare utenti Macintosh proponendogli un OSX che abbia le stesse modalità di interazione apprese su iPad.
Bisogna però evidenziare un’altra differenza tra Apple e Microsoft. La prima ha sempre “forzato” l’adozione dei nuovi sistemi tagliando i ponti col passato, a costo di scontrarsi con determinate fasce dei propri utenti (tipicamente quelli professionali, che prima di effettuare cambiamenti drastici preferiscono, giustamente, verificare la piena compatibilità di tutto ciò che serve per il loro lavoro): per esempio non è possibile comprare oggi un Mac con Snow Leopard, e lo stesso iCloud è disponibile solo per gli utenti che utilizzano Lion, sistema che a sua volta ha eliminato anche Rosetta (l’interprete per il vecchio codice PPC). Questo passo forzato ha fatto si che Snow Leopard e Lion (le ultime due versioni del sistema) siano al momento presenti sull’80 per cento dei Mac e le scelte effettuate da Apple, volenti o nolenti, sono adottate dalla maggioranza degli utenti.
Il comportamento di Microsoft invece è totalmente differente, quasi opposto: Windows ha sempre puntato ad una forte retrocompatibilità, scelta quasi forzata visto il modello di distribuzione adottato e la quota di mercato conquistata. Fino a pochi mesi fa era ancora possibile acquistare computer con Windows XP (un sistema del 2001 che verrà supportato per altri due anni ), Windows Vista ha avuto una diffusione estremamente bassa (ad oggi non arriva al 10 per cento), e solo con Windows Seven si è avuto un certo rinnovamento nel panorama Windows, anche se XP rappresenta ancora una grande percentuale delle macchine attive.
Se Apple, per certi versi, può permettersi di “forzare la mano” con gli aggiornamenti (anche se ha sempre concesso dei periodi di transizione, sia nel passaggio da Classic ad OSX, che da PPC ad x86) Microsoft deve fare i conti con una percentuale molto più alta di utenti e con un numero molto più elevato di software che non possono permettersi di smettere di funzionare. In un simile panorama, quale sarà il ritmo di adozione di Windows 8? A mio avviso lo scoglio più grosso è quello che finora ha tenuto molti utenti legati a Windows XP, scoglio che sta per essere superato grazie al fatto che non è più possibile aquistare computer con quel sistema operativo: il che costringe anche gli sviluppatori ad aggiornare il loro software. Grazie alla sua doppia faccia, non credo che Windows 8 avrà grossi problemi ad essere accettato dagli utenti che attualmente sono migrati verso Seven, e questo potrebbe essere un trampolino di lancio anche per la diffusione di tablet equipaggiati con il sistema operativo di Microsoft. Parallelamente a quanto visto finora, non dobbiamo dimenticarci di Android: nel confronto con Apple e Microsoft, Google si pone in un contesto completamente differente, sia perché non ha alcuna tradizione nel mondo dei computer (ad eccezione dei ChromeBook che non sono stati propriamente un successo ), sia perché con Android ha abbracciato la filosofia open source, a parte la breve parentesi della versione 3. Partendo da zero Google non ha alcun preconcetto sull’interfaccia utente, anche se finora non ha dato grandi prove nella proposta di soluzioni innovative (a differenza dell’interfaccia a piastrelle di Microsoft, più o meno piacevole, più o meno adatta alle diverse situazioni, e più o meno limitata in alcune funzioni, ma comunque originale). Da un po’ di tempo a questa parte si parla di portatili basati su Android , anche se personalmente trovo che questo sistema sia adatto solo in prospettiva di macchine con schermo touch rimovibile, in grado di vivere di vita propria come un tablet.
La natura open source di Android ha poi permesso a Canonical di realizzare una sorta di computer tascabile ovvero di sfruttare uno smartphone collegato ad un dock con monitor, tastiera e mouse, come se fosse un semplice computer desktop, ma non credo che Google voglia seguire esattamente quella strada. Google punta probabilmente ad offrire Android come sistema adatto anche a piccoli portatili dedicati a compiti relativamente semplici: il fatto che sia open source permette (potenzialmente) a chiunque di modificare l’interfaccia creando qualcosa che sia utilizzabile agevolmente anche su un normale computer, eventualmente anche senza la necessità di uno schermo touch. Sotto certi aspetti è una soluzione ottimale, ma in realtà andrebbe ad incrementare ulteriormente il livello di frammentazione software di questo sistema: ulteriori risoluzioni da gestire, ulteriore variabilità dell’hardware e (soprattutto) modalità di interazione ancora diverse per le applicazioni.
Un’applicazione che richiede una gesture multitouch non potrà essere utilizzata col mouse, mentre un’applicazione che necessiti di un click preciso eseguito tramite il puntatore del mouse sarà poco utilizzabile in modalità touch. Si tratta di un problema simile a quanto già evidenziato per Windows 8, solo che Microsoft prevede entrambi gli ambienti come standard e applicazioni differenti per le diverse situazioni, mentre su Android non esiste un vero e proprio standard in tal senso: ogni produttore potrebbe personalizzare l’interfaccia in base a quello che vuole realizzare, e ogni sviluppatore si potrebbe trovare nella situazione di dover adattare la propria applicazione a troppe varianti. Riallacciandoci a quanto detto in apertura, Apple bypassa questo problema tenendo ancora i due sistemi separati e obbligando adattamenti dell’interfaccia quando le applicazioni di OSX passano in modalità a schermo pieno: il punto d’unione rimane invece la modalità di interazione multitouch che, nel caso di OSX, avviene attraverso il trackpad.
Per chiudere il discorso Android, va infine ricordato che la sua caratteristica open source ha aperto la possibilità di realizzare dei player in grado di far funzionare le applicazioni Android su Windows 7 (e quindi Windows 8), possibilità che, al di là dei consueti discorsi sui diversi modi di interagire nei due mondi, non è ancora ben chiaro a chi dovrebbe portare vantaggi: se possa essere un bene per l’ Android Market Google Play, forse non sarà un bene per la diffusione di Android sui tablet, anche se stiamo facendo delle ipotesi su un mercato (se mercato c’è) che è ancora tutto da scoprire.
In definitiva lo scenario attuale e del prossimo futuro prevede:
– Apple che propone due diversi sistemi (iOS e OSX), con modalità di interazione simili ma scopi di utilizzo ben distinti e applicazioni specifiche per i due diversi ambienti (il che significa anche doppio guadagno per Apple); entrambi gli ambienti sono completamente chiusi, con hardware proprietario, OS proprietario, e App Store che, nel caso di iOS, è anch’esso proprietario (per OSX invece il software può comunque provenire anche da altri canali).
L’ecosistema della soluzione Apple, nella sua chiusura, offre meno possibilità di scelta hardware e meno libertà di azione ma, finché si resta al suo interno, ha il vantaggio di risultare più semplice e immediato nell’utilizzo. Inoltre, parlando di iOS e di tablet (dispositivo su cui tutti sembrano voler puntare per il mercato consumer del futuro), c’è il vantaggio di una scelta di App molto più variegata, e il modello di distribuzione del software adottato per iOS potrebbe portare benificio anche al Mac App Store (cosa che in parte sta già accadendo). Parlando di mercato consumer, di chi non ha particolari esigenze su tipologie di software eventualmente non ammesse sull’App Store, o di chi più in generale non ha tempo e voglia per smanettare (jailbreak a parte), la soluzione di Apple potrebbe essere quella più indicata.
– Microsoft proporrà invece un unico sistema (Windows 8) che racchiude due modalità di interazione completamente diverse (le tiles di metro e il classico ambiente desktop) ma disponibili contemporaneamente sulla stessa macchina, sia su PC che tablet, ma con applicazioni ben distinte per le due modalità dell’interfaccia. Anche il sistema Microsoft è chiuso ma ha il vantaggio di girare su più hardware e quindi offrire maggiore possibilità di scelta. La soluzione Microsoft ha inoltre il potenziale vantaggio di unificare diverse tipologie di macchine e quindi potrà garantire a quei professionisti che utilizzano determinati software, disponibili solo per Windows, di poter utilizzare lo stesso software anche su un tablet. Ammesso e non concesso che sia usabile a livello di interfaccia (se non viene adattato a Metro) e con eventuali limiti legati alle possibili differenti architetture (Intel o ARM).
– Google offre la massima libertà proponendo un unico sistema con un’unica interfaccia che può essere personalizzata a piacere e presentare molte differenze a seconda di chi produce l’hardware, senza nessuno standard che definisca dei punti chiave nel caso di utilizzo in modalità desktop (grande flessibilità ma possibili ripercussioni a livello di compatibilità delle applicazioni). Lasciando perdere il discorso mobile, dove Android la sta facendo da padrone nel settore degli smartphone (grazie alla grande disponibilità di modelli a basso costo, anche se spesso non aggiornati nel software) ma pare arrancare un po’ nel settore dei tablet (dove si sente la mancanza di app specifiche ), nel campo dei computer più tradizionali la strada di Android è molto in salita, senza considerare che non è detto che Google abbia un interesse diretto per l’utilizzo di Android in questo settore, dove forse vuole giocarsi ancora qualche carta con ChromeOS . In tal caso, però, a giudicare da quanto visto finora non ci sarebbe nessuna convergenza.
Parlando più nello specifico dell’interfaccia (argomento principale di questo commento) non vedo particolari motivi per cui una persona dovrebbe preferire un sistema rispetto ad un altro: anche se gli approcci che abbiamo visto sono completamente differenti, la scelta del sistema continuerà ad essere fatta in relazione al software di cui ogni persona ha bisogno. Proprio per questo motivo Microsoft, nonostante la sua posizione attuale di stretta minoranza nel settore mobile, potrebbe avere ancora molto da dire sui tablet dopo l’avvento di Windows 8, sistema che per forza di cose si diffonderà a partire dai computer tradizionali ma troverà modo di permeare anche altrove. A parità di disponibilità di software e servizi (qui non ne abbiamo parlato, ma il futuro si giocherà in parte anche sul cloud) la scelta diventa più personale e ognuno può avere le sue preferenze o le sue abitudini, oppure basare la sua scelta sulla migliore compatibilità con ciò che già possiede.
Difficile dire, alla lunga, quale soluzione sarà vincente, senza considerare che in questa lotta a tre potrebbe inserirsi un ulteriore incomodo, quel WebOS che diventando open source potrebbe trasformarsi in un’alternativa interessante per tutti quei produttori che non sono legati né a Microsoft (come Nokia) né a Google (come Motorola). Se gli operatori non sono molto soddisfatti del sistema proposto da Microsoft (situazione che potrebbe cambiare con Windows Phone 8), e i produttori dovessero sentirsi minacciati dall’ acquisizione di Motorola da parte di Google, WebOS potrebbe ritagliarsi un suo spazio e iniziare a crescere, anche se potrebbe essere un po’ difficile coordinarne lo sviluppo.
L’ipotesi migliore è sempre quella di un mercato equamente diviso tra le varie possibilità, così che l’utente possa realmente scegliere la soluzione migliore per le proprie necessità senza trovarsi in una posizione di minoranza o di carenza di software. Per tirare le prime conclusioni in merito a questo argomento credo che dovremo aspettare un altro paio di anni, e valutare il reale impatto che avranno i tablet sul mercato: è arrivata davvero l’era Post-PC? .
Domenico Galimberti
blog puce72
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