Apple e l'app che faceva troppo

Apple e l'app che faceva troppo

Dopo anni di permanenza nello store, Airfoil sparisce. Il problema sembra legato a certe nuove funzioni troppo simili a quelle di AirPlay. A casa Cupertino, regole di Cupertino
Dopo anni di permanenza nello store, Airfoil sparisce. Il problema sembra legato a certe nuove funzioni troppo simili a quelle di AirPlay. A casa Cupertino, regole di Cupertino

Apple ha bloccato l’ app Airfoil Speakers Touch di Rogue Amoeba, che trasforma il Melafonino in una sorta di interfono o di servizio per condividere in streaming la propria musica: ovvero permette l’ invio di audio in streaming ad altri device (iPhone, Mac, iPod TOuch ma anche PC) presenti in casa.

L’app è presente su App Store da tre anni, ma il problema sembrerebbe essere legato all’ultimo aggiornamento, che avrebbe introdotto funzioni non confacenti – secondo Apple – alle regole del marketplace, in particolare con l’ozpione “Enhanced Audio Receiving”.

Lo stesso sviluppatore parla della nuova funzionalità come di una delle possibili cause: introdotta con la terza revisione della sua app, “l’abilità di ricevere audio direttamente da altri dispositivi iOS e da iTunes”, la definisce una funzione di streaming audio fortemente voluta e amata dagli utenti. Rogue Amoeba, per il resto, si limita a dire di aver cercato in questi giorni di chiarire con Apple la situazione, ma di non aver compleso ancora l’esatta motivazione della rimozione.

Andando ad analizzare la situazione, il problema potrebbe essere legato al fatto che Apple non fornisce agli sviluppatori API per impiegare i suoi device mobile come ricevitori “AirPlay”, la funzione made in Cupertino che permette l’ascolto di musica in streaming attraverso speaker, amplificaori AV e impiati stereo prodotti ad hoc e per cui si parla di nuova spinta con i prossimi iOS 6 e iTunes 11.

Per Apple potrebbe dunque essere un problema sia perché duplica una funzione già attiva, sia perché viola la clausola di licenza che proibisce l’impiego di API non pubbliche: da parte sua, tuttavia, Rogue Amoeba dice di essere arrivata al protocollo necessario a farlo funzionare tramite reverse-engineering ed API rilasciate pubblicamente.

In generale, tuttavia, le mosse e le motivazioni di Apple rimangono quantomeno ambigue (se non oscure): la gestione del suo store è legata alle clausole che parlano di un utilizzo solo di API pubbliche e “in maniera prescritta da Apple” e della definizione della licenza come di “un documento in via di evoluzione, cui potrebbero essere apportate modifiche in conseguenza di nuove app in qualsiasi momento”. Tutte condizioni, evidentemente, che semplicemente esplicitano il principio “mio il negozio, mio le regole”.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il 25 mag 2012
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