Nella stragrande maggioranza dei casi, su Internet, è possibile tracciare una linea di separazione fra articoli (come questo che state leggendo) e commenti (come quelli che forse appariranno qui sotto). Gli articoli (o i post) sono contenuti, i commenti, più frequentemente, sono relazioni. In certi casi ruoli e prerogative si invertono e si confondono ma nella maggioranza dei casi quando su un blog o su una pagina Web in genere affrontiamo l’insieme costituito da un articolo e dai suoi commenti stiamo osservando due cose differenti.
Per molti anni, io per primo, ho pensato che la stessa possibilità tecnica di aggiungere contenuti ad altri contenuti fosse sufficiente ad aumentare il senso complessivo e l’intelligenza del tutto. Esistevano problemi (i troll, lo spam ecc), ma nella grande confusione generata dalla discussione generale era possibile ugualmente estrarre valore. La celebre frase di De André sul letame e sui fiori serviva eventualmente a convincere i perplessi.
Per molto tempo del resto i commenti sono stati una semplice fabbrica di pagine viste, utili a gonfiare i numeri con i quali ci si presentava da eventuali investitori pubblicitari. Oggi, con la ponderazione introdotta da molti dei sistemi di analisi, il valore di simili contributi si è molto ridotto e questo ha in parte spento l’interesse degli editori nei confronti dei contributi dei lettori.
Tuttavia i commenti restano molto importanti per almeno due ragioni. La prima, molto evidente e nota a tutti, è, appunto, che creano relazioni fra chi scrive e chi legge. Sono in grado di imbastire una sorta di rapporto sentimentale che riguarda talvolta l’autore ma, molto più spesso, il contenuto dell’articolo. Basti pensare alle manifestazioni di ampio dissenso che certi contributi editoriali sono capaci di stimolare. Il secondo aspetto importante è quello dell’amplificazione del senso, tema che dovrebbe essere particolarmente caro alle imprese editoriali. Possono i commenti contribuire ad aumentare il valore contenutistico di un articolo, magari mediante apporti ulteriori da parte di lettori competenti sui temi trattati? In un ambiente editoriale perfetto ad un articolo interessante appena letto si dovrebbero aggiungere, in bella evidenza, i contributi dei lettori che lo ampliano, lo confutano o lo completano. Tutto questo ovviamente non può avvenire per magia ma richiede uno sforzo di filtro editoriale che spesso i siti ad alto traffico non possono permettersi.
Pensare oggi che i lettori possano andare a spulciare centinaia di commenti organizzati con criteri poco meno che casuali alla ricerca di quelli interessanti è assai improbabile, così gli americani che hanno, come è noto, una insana religiosa passione per gli algoritmi, da tempo affidano alla macchina l’umanissimo lavoro di scelta intellettuale dei contributi da porre in evidenza.
L’ultimo esperimento in tal senso è Kinja, il sistema di commenti imposto da Nick Denton, cerbero guru di Gawker, agli editor dei suoi blog. Il senso complessivo del progetto gioca molto con una riproposizione di una idea di Rete orizzontale e paritaria, un approccio molto 1995 che tutti quanti abbiamo un po’ dimenticato. Secondo Denton articoli e commenti devono avere identico valore e visibilità, un algoritmo si occuperà comunque di valutare quali commenti meritino la notorietà e quali altri invece non debbano nemmeno comparire, inoltre chiunque lo desideri potrà utilizzare un account anonimo attraverso una opzione che si chiama “burner”, niente username, niente password, niente email da inviare all’editore. E Denton ha chiaramente detto che gli editor di Gawker sono “invitati” a partecipare attivamente alle discussioni in corso senza considerare concluso il proprio lavoro con l’estensione dell’articolo. I commenti poi non si chiameranno più “commenti” ma “post” (e 5 dollari di multa a chi nelle redazioni oserà pronunciare la parola).
I commenti di un blog personale rappresentano un ecosistema spesso a sé stante, piccoli microclimi che si automantengono fatti di relazioni fra il tenutario ed i suoi commentatori ma anche fra commentatore e commentatore. I contributi dei lettori in un sito editoriale dovrebbero invece percorrere percorsi un po’ differenti: essere per lo più sottoposti ad una sorta di embargo intellettuale che abbia come obiettivo leggibilità e incremento del valore editoriale. Lo si è fatto per anni con sistemi di rating come quello di Slashdot o con altri metodi automatici ma, spesso, senza grandi risultati. Questo perché, in definitiva, la macchina non è troppo intelligente.
I grandi siti editoriali continuano ad avere bisogno di una comunità di lettori la più ampia possibile, che spesso oggi si sparpaglia e commenta anche in luoghi di rete differenti dal sito Web stesso. Forse più che di algoritmi intelligenti ci sarebbe bisogno di un lavoro giornalistico nuovo che abbia come scopo l’emersione e la messa in luce di tutti i contributi editoriali di valore paralleli alla produzione giornalistica. Un lavoro nuovo ed indispensabile che spesso i giornalisti non vorrebbero fare.
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