Negli ultimi anni, le continue politiche di riduzione della spesa pubblica stanno incidendo in negativo sulla dotazione degli strumenti tecnologici in uso nella Pubblica Amministrazione. Non è un caso dunque che, tra i temi emergenti nell’ambito dell’e-Government, si stia facendo largo il concetto di “Riuso di programmi informatici”.
Nel nostro ordinamento, tale concetto giuridico fa il suo ingresso, per la prima volta, con la legge 340/2000 , nella quale veniva stabilita per le PA la facoltà di concedere in uso gratuito ad altre amministrazioni le applicazioni informatiche, affinché esse le adattassero alle proprie esigenze. Un’ulteriore specificazione sul riuso si ha con l’emanazione del D. lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione digitale – CAD). L’ articolo 68 del CAD prevede infatti che le amministrazioni, nell’acquisizione di programmi informatici, debbano valutare ciò che è disponibile sul mercato e procedere operativamente secondo una delle seguenti possibilità:
” a) sviluppo di programmi informatici per conto e a spese dell’amministrazione sulla scorta dei requisiti indicati dalla stessa amministrazione committente;Il successivo art. 69 afferma che nel processo di sviluppo dei programmi per proprie esigenze ” le amministrazioni devono favorire il riuso, prevedendo nei capitolati di appalto che i programmi siano facilmente portabili su altre piattaforme e inserendo clausole contrattuali adeguate “. Il medesimo articolo dispone anche che ” le pubbliche amministrazioni titolari di programmi applicativi realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno l’obbligo di darli in formato sorgente, completi della documentazionedisponibile, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze “.
b) riuso di programmi informatici, o parti di essi, sviluppati per conto e a spese della medesima o di altre amministrazioni; (191)
c) acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;
d) acquisizione di programmi informatici appartenenti alla categoria del software libero o a codice sorgente aperto;
e) acquisizione mediante combinazione delle modalità di cui alle lettere da a) a d) “.
A questo punto sorgono spontanei una serie di interrogativi, primo tra tutti: in cosa consiste il riuso software e quali sono i suoi vantaggi?
Nelle Linee guida per il riuso delle applicazioni informatiche nelle amministrazioni pubbliche emanate dal CNIPA ( oggi “Agenzia per l’Italia Digitale”) si fa riferimento al riuso inteso come ” la possibilità di riutilizzare un prodotto software e/o sue componenti realizzate da o per conto di un’amministrazione pubblica nell’ambito di uno o più sistemi informativi di altre amministrazioni pubbliche “. Quindi, nelle sue modalità attuative, il riuso del software può essere inteso sia come riutilizzo senza modifiche di prodotti già esistenti, sia come costruzione ad hoc di nuovi prodotti attraverso l’evoluzione e l’integrazione di componenti già realizzati.
Tuttavia, per essere riusabile, un software deve soddisfare una serie di caratteristiche, quali, ad esempio, funzionalità, indipendenza da fornitori e piattaforme e, soprattutto, disponibilità della documentazione (libretto d’uso) aggiornata.
Nella pratica esistono diverse tipologie di riuso, ognuna delle quali caratterizzata da specifiche peculiarità. Nello specifico esso può essere:
– ” In cessione semplice “: cessione di un applicativo da un’amministrazione ad un’altra richiedente con la manutenzione a carico di questa ultima;
– ” Con gestione a carico del cedente “: l’amministrazione cedente si fa carico anche della sua manutenzione;
– ” In facility management “: l’amministrazione cedente si fa carico della manutenzione, della predisposizione e gestione dell’ambiente di esercizio per l’amministrazione che effettua il riuso;
– ” In ASP “: l’amministrazione cedente o un soggetto terzo si fa carico della manutenzione e dell’esercizio del software per più amministrazioni, che riconoscono il corrispettivo all’erogatore in relazione al servizio ricevuto.
Certo è che, dalle norme sinora richiamate, appare chiara la posizione – rispetto al riuso – assunta dal legislatore: esso vuole favorirlo soprattutto sulla base di due principali obiettivi. Il più evidente è di carattere economico e deriva dalla possibilità di far utilizzare ad un’amministrazione un prodotto già disponibile presso un’altra amministrazione. Il secondo fine mira, invece, all’unificazione delle soluzioni installate presso le amministrazioni, con la conseguente agevolazione dello scambio di dati e la cooperazione fra gli enti attraverso l’armonizzazione delle procedure adottate, offrendo così ai cittadini servizi migliori ed uniformi.
È doveroso sottolineare che la tecnica del riuso funziona solo se gli enti che vi accedono hanno la possibilità di migliorare il prodotto, apportando le modifiche necessarie e consentendo – altresì – alla collettività di usufruire dei miglioramenti. Tuttavia, alla luce di quanto detto, consegue che il soggetto che dà in riuso un prodotto software deve avere la disponibilità dei diritti sul prodotto stesso: in altri termini, si configurano i cd. diritti di proprietà intellettuale sul software (uso, modifica e distribuzione). Nel riuso infatti, il cedente deve autorizzare colui che riusa non solo ad utilizzare, ma anche a modificare il software e a ridistribuirlo nell’interesse della collettività. Proprio nell’ottica di consentire alle amministrazioni cedenti di far conoscere alle altre amministrazioni le soluzioni che intendono offrire in riuso è stato costituito un catalogo gestito da DigitPA.
Ad oggi, le esperienze di riuso realizzate sia dal punto di vista dei numeri sia da quello dell’efficacia hanno deluso le aspettative. Le ragioni sono essenzialmente legate alla mancata disponibilità di prodotti software adattabili – i fornitori sono i veri protagonisti – e alla poca attitudine a cooperare tra le varie amministrazioni. La PA è pronta, le regole ci sono, non resta che attendere l’uso!
Dott. Luigi Rufo
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