Diffamazione, stampa e social pari sono?

Diffamazione, stampa e social pari sono?

Pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di una giovane livornese che aveva insultato su Facebook il suo datore di lavoro. Facebook è qualificato come "mezzo di pubblicità"
Pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di una giovane livornese che aveva insultato su Facebook il suo datore di lavoro. Facebook è qualificato come "mezzo di pubblicità"

L’insulto su Facebook può essere considerato come “un delitto di diffamazione aggravato dall’aver arrecato l’offesa con un mezzo di pubblicità”. Un mezzo di fatto equiparato, sotto il profilo sanzionatorio, “alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa”. Questo si conclude dalle motivazioni alla base della sentenza di condanna stabilita nello scorso ottobre dal giudice di Livorno Antonio Pirato contro la giovane Rossella Malanima.

Una volta licenziata da un centro estetico della città toscana, la ragazza si era sfogata sulla sua pagina in blu, con pesanti epiteti – anche a sfondo razziale – contro il suo ex-datore di lavoro , un cittadino albanese. Proj Gjergji si era dunque rivolto alla procura per sporgere denuncia, ottenendo un totale di 3mila euro come forma di risarcimento danni. Malanima era stata condannata al pagamento di una multa pari a mille euro più spese processuali.

Richiamando l’articolo 595, terzo comma del codice penale, il giudice livornese ha ora sottolineato come il reato di diffamazione debba essere “punito più severamente nel caso in cui l’offesa è recata con il mezzo della stampa così come attraverso qualsiasi altro mezzo di pubblicità”.

Dal testo delle motivazioni alla base della sentenza, esprimersi su Facebook implica “una comunicazione con più persone alla luce del cennato carattere pubblico dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione”.

Più che soddisfatta la conduttrice televisiva Paola Ferrari, già al centro di un’aspra battaglia contro gli utenti di Twitter. La sentenza di condanna contro la ragazza livornese rappresenterebbe “una grandissima vittoria contro gli insulti e la maleducazione che stanno invadendo i social network e ledono la privacy”. “Da tempo sto portando avanti la mia battaglia contro i social network ed in particolare Twitter, essendo stata lungamente bersagliata sul web da epiteti anonimi e offensivi nel corso di tutta la conduzione della trasmissione Stadio Europa – ha continuato Ferrari – Il tribunale di Livorno conferma che il libero pensiero non deve essere diffamatorio nei confronti degli altri”.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il 15 gen 2013
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