Proposta dal ministro alla Giustizia Alberto Ruiz Gallardón, una riforma del codice di procedura penale in terra iberica che permetterà agli agenti di polizia l’installazione coatta di software sulle varie apparecchiature informatiche di cittadini sospetti o in custodia cautelare . I cosiddetti trojan di stato potranno essere autorizzati da un giudice competente per la raccolta di informazioni utili da laptop, tablet e smartphone.
Toccherà al Tribunal de Garantías il compito di emanare l’ordine per il rastrellamento di dati dalle attrezzature informatiche degli indagati, come spiegato dallo stesso ministro Gallardón dopo aver assoldato una commissione di esperti coordinata dal Segretario di Stato spagnolo. La polizia potrà dunque sfruttare trojan e spyware nei casi di ragionevole sospetto, per crimini dalla pena massima non inferiore a tre anni e nelle operazioni di lotta al cybercrimine o al terrorismo internazionale .
Nelle dichiarazioni rilasciate dal ministero di Giustizia, la proposta resterà aperta al dibattito pubblico, certamente invisa agli attivisti per i diritti digitali e i costituzionalisti in ambito universitario. C’è chi ha infatti sottolineato come una riforma del genere garantisca agli inquirenti un potere illimitato nell’analisi di tutte le componenti interne di un dispositivo sospetto. Dai dati scambiati tramite Facebook alle comunicazioni via Skype.
Una proposta simile a quella di Gallardón era stata già formulata nei Paesi Bassi, dove si ipotizzava addirittura la distruzione dei dati (presumibilmente illegali) trovati sui computer analizzati. In Germania il governo e la polizia federale avevano chiaramente ammesso di monitorare Skype, Google Mail, MSN Hotmail, Yahoo Mail e la chat Facebook qualora si ritenesse necessario , scatenando il dibattito sui fondi destinati allo sviluppo del famigerato Staatstrojaner .
Mauro Vecchio