Stando ai ricercatori dell’ Illinois Institute of Technology , le gioie della stampa 3D vanno di pari passo con i dolori di una tecnologia potenzialmente pericolosa per la salute umana. Il problema, spiega lo studio, è l’ emissione di particelle ultrasottili in concentrazioni eccessive.
I ricercatori prendono in particolare di mira le stampanti 3D “desktop” largamente accessibili al pubblico, oltre al procedimento di estrusione e sedimentazione di termoplastiche riscaldate alla base della tecnologia, già sul banco degli imputati per “significative” emissioni di particelle in sospensione (aerosol) misurate in ambienti industriali.
Il team di ricercatori capitanato dal professor Brent Stephens ha analizzato le emissioni di particelle ultrasottili (UFP) da parte delle stampanti desktop, dove per ultrasottili si intendono corpuscoli nanoscopici con dimensioni non superiori ai 100 nanometri di diametro.
Le misurazioni hanno registrato alte concentrazioni di UFP durante il procedimento di stampa 3D, concentrazioni che su dispositivi facenti uso di acido polilattico (un polimero dell’acido lattico) a basse temperature sono di 20 miliardi di particelle per minuto e che salgono a 200 miliardi al minuto nelle stampanti basate sull’impiego di acrilonitrile butadiene stirene (ABS) a temperature superiori.
Un’alta concentrazione di UFP in ambienti domestici – dove la circolazione dell’aria è opzionale e in genere non appropriata per un tipo di produzione eminentemente “industriale” – può risultare pericoloso per la salute, spiegano i ricercatori, visto che le nanoparticelle tendono a depositarsi nei polmoni – in maniera non dissimile all’amianto – e nel tratto respiratorio con effetti potenzialmente nocivi sulla salute del cuore, del cervello e non solo.
Alfonso Maruccia