Amnesty International e Human Rights Watch mettono sotto accusa gli USA, colpevoli di utilizzare in maniera eccessiva e senza limitazioni i droni per bombardare Pakistan e Yemen. Attacchi militari indiscriminati che mietono vittime tra civili, rei di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato: cioè nel proprio paese durante una normale giornata di lavoro a raccogliere ortaggi nei campi oppure magari a ristrutturare uno dei tantissimi edifici malmessi.
L’obiettivo è sempre il Waziristan , la regione al confine con l’Afghanistan, popolata da ribelli e talebani; il 71 per cento per cento dei raid sono avvenuti nel nord della regione, il 29 nel meridione. Numeri parziali ma sufficienti per far scattare l’allarme delle due ONG, che contestano l’atteggiamento del governo statunitense richiedendo maggiore trasparenza e l’abbandono del silenzio dietro cui si trincera la Casa Bianca. Nel rapporto Sarò io il prossimo? , redatto da Amnesty, si raccontano nel dettaglio nove dei quarantacinque attacchi segnalati tra gennaio 2012 e agosto 2013 nel Nord Waziristan. I ricercatori di Amnesty sono riusciti a realizzare sessanta interviste con sopravvissuti, testimoni oculari, parenti delle vittime, residenti delle zone colpite, membri di gruppi armati e funzionari governativi.
Non solo descrizioni, ricordi e testimonianze orali e scritte: Amnesty è riuscita a entrare in possesso di prove fotografiche e video con immagini satellitari per dimostrare gli abusi effettuati dai droni statunitensi , beccati almeno in un paio di occasioni a sganciare bombe in zone non strettamente legate al terrorismo.
Così nell’ottobre del 2012 è morta Mamana Bibi, nonna 68enne impegnata nel proprio orto insieme ai tre nipoti che, abituata al quotidiano svolazzare dei dispositivi americani sui cieli del Nord Waziristan (una delle regioni più sottosviluppate e inospitali del Pakistan), ha continuato a lavorare finendo sotto il fuoco di due missili Hellfire. “Stava raccogliendo verdura nei campi e a un certo punto sopra le nostre teste è arrivata una coppia di droni, ma non è una novità da queste parti”, ha raccontato il nipote Zubair Rehman . La stessa tremenda sorte è toccata a diciotto operai, tra cui un quattordicenne, colti durante la pausa del tè da un missile. Scene terribili e soprattutto evitabili ma purtroppo non casi isolati. Dal 2004 al settembre 2013 i robot-killer hanno mietuto circa 2.500 vittime , con un picco degli attacchi, stimati nella forbice 330-374, a partire dal 2008.
Scenario simile in Yemen dove, come illustrato nelle 97 pagine della relazione stilata da Human Rights Watch , si analizzano sei attacchi avvenuti nel 2009 e durante l’ultimo biennio, con civili uccisi indistintamente e in chiara violazione del diritto che regola i conflitti.
Per questo dopo aver già in passato evidenziato ripetutamente il pericolo droni, le due associazioni tornano alla carica affermando che le azioni realizzate dagli USA possono costituire crimini di guerra . Allargando il cerchio a Australia, Germania e Regno Unito, accusate di aiutare i militari americani, Amnesty vuole che il governo statunitense rispetti il diritto internazionale e collabori per poter indagare in maniera imparziale e indipendenti sulle uccisioni perpetrate. Richieste simili per il governo pakistano, ritenuto complice di assassini illegali e incapace di garantire protezione ai cittadini del Waziristan.
Anche se negli ultimi anni gli attacchi avvengono con minore frequenza (117 nel 2010, 64 nel 2011, 46 nel 2012 e poco più di 20 nel 2013), sotto l’amministrazione Obama i droni sono saliti alla ribalta. “Siamo molto preoccupati per il comportamento tenuto dagli Usa, poiché continuano a sostenere che possono utilizzare i droni in qualsiasi parte del mondo per combattere Al Qaeda” è il commento di Mustafa Qadri, ricercatore di Amnesty International in Pakistan.
Il problema di fondo resta la mancata regolamentazione sull’utilizzo degli aerei automatici , caldeggiata non solo dalle associazioni umanitarie. Proprio questa lacuna , insieme al segreto mantenuto sulle azioni dei droni, è lo scudo del governo Usa. Per Jeh Johnson – nominato da Obama una settimana fa segretario della sicurezza interna e già al centro delle polemiche in passato per aver dichiarato che anche Martin Luther King sarebbe stato d’accordo con la guerra in Afghanistan – la sola missione degli USA è eliminare il nemico. Per il portavoce di Obama, Jay Carney, le operazioni sono legali e i civili uccisi sono molto meno di quelli riportati da Amnesty: senza dimenticare che il presidente Obama si è più volte scusato per le vittime tra i civili, considerate un inevitabile prezzo da pagare in ogni guerra.
Alessio Caprodossi