Ottawa (Canada) – Un’associazione di musicisti e altri artisti canadesi intende rivolgersi nei prossimi giorni alla Corte Suprema del Canada affinché sia riconosciuto il loro diritto di chiedere ai provider royalty sulla musica e sugli altri materiali protetti da diritti d’autore che gli utenti internet scaricano dalla rete.
Nel mirino dei musicisti c’è evidentemente il peer-to-peer, ambienti nei quali gli utenti possono in molti modi condividere i file che conservano sui propri computer e farne baratto con decine di milioni di altri utenti sparsi per il globo. L’idea degli artisti canadesi è che i servizi broad band in particolare siano richiesti e utilizzati da moltissimi utenti proprio per le attività di peering, un elemento che non solo va considerato vietato ma che nei fatti, a loro parere, danneggia l’industria musicale sottraendo profitti.
La richiesta dei musicisti arriva, tra l’altro, a breve distanza dall’approvazione di una nuova tassa che i canadesi si trovano a pagare sui supporti di masterizzazione vergini , quelli che sono acquistati nei negozi per essere utilizzati tanto per registrare musica o altri materiali quanto per archiviare dati e informazioni personali. Una tassa del tutto simile a quella imposta agli italiani contro la quale in tanti, persino la Business Software Alliance , hanno fin qui vanamente protestato.
Alla levata di scudi degli artisti e dei musicisti hanno reagito i provider canadesi riuniti nell’associazione CAIP . Il presidente dell’associazione Jay Thomson ha ricordato come “noi da sempre sosteniamo di rappresentare il veicolo per i contenuti prodotti e gestiti da altri. Noi forniamo semplicemente la rete sulla quale la gente comunica con altra gente. Solo i soggetti che comunicano dovrebbero essere ritenuti responsabili per quel che fanno”. La posizione CAIP, che è quella tradizionalmente ribadita dai provider in mezzo mondo, non può certo suonare come un lavarsi le mani del problema, in quanto tocca questioni fondamentali come il diritto alla riservatezza delle comunicazioni, il principio di responsabilità personale e via dicendo.
Ma i musicisti non ci stanno. A loro dire sono molti i provider che facilitano la vita ai propri utenti con servizi di caching del materiale più richiesto e che, così facendo, partecipano al gioco al massacro del download illegale, traendone profitto ed essendone parzialmente responsabili.
La disputa canadese, destinata ad avere effetti importanti in tutto il Commonwealth britannico e forse oltre, dovrà essere risolta dalla Corte Suprema. Non stupisce dunque che il caso sia seguito da vicino in molti paesi, anche in virtù del fatto che questa stessa idea, quella di tassare i provider per il file sharing era stata espressa lo scorso gennaio dall’allora chairman e CEO dell’associazione dei discografici americana RIAA , Hilary Rosen.
Rosen aveva dichiarato, sollevando un putiferio : “Chiederemo ai provider di risponderne maggiormente. Guardiamo ai fatti così come stanno: lo sanno bene anche loro che se c’è una forte domanda di banda larga è solo perché c’è disponibilità diffusa di sistemi di file-sharing”. La reazione alla presa di posizione della Rosen fu tale che poche ore dopo lei stessa smentì questa interpretazione delle sue parole ma Reuters, che l’aveva raccolta, ha sempre ribadito che quelle parole sono state registrate e che Rosen le ha effettivamente pronunciate.