Hawking: i buchi neri non sono un buco nero

Hawking: i buchi neri non sono un buco nero

Il celebre scienziato britannico prova a mettere ordine tra i paradossi che si affollano attorno alla sua fondamentale scoperta. E nel farlo pare stravolgere per sempre l'idea popolare del pozzo senza fondo e senza via di uscita
Il celebre scienziato britannico prova a mettere ordine tra i paradossi che si affollano attorno alla sua fondamentale scoperta. E nel farlo pare stravolgere per sempre l'idea popolare del pozzo senza fondo e senza via di uscita

Dopo aver sconvolto già una volta il mondo della scienza con la proposta teorica del buco nero, Stephen Hawking prova a ribaltare le carte in tavola: la sua ultima fatica, pubblicata in un repository privo di peer review , è intitolata ironicamente “Conservazione dell’informazione e previsioni del tempo per buchi neri”. Lo scopo del lavoro è quello di mettere ordine tra i diversi paradossi teorici che si sono moltiplicati in questi anni attorno alla teoria da lui formulata . Tra tutti, in particolare, c’è una questione nata proprio di recente: ovvero quella del “firewall” sull’orizzonte degli eventi.

Nella definizione classica, passata anche nella vulgata popolare, un buco nero altro non è che il risultato del collasso su sè stessa di una stella dalla massa enorme, tale per la quale persino la luce risulterebbe intrappolata all’interno dell’orizzonte degli eventi (per così dire il confine fisico del buco nero) attirata dalla singolarità posta al centro dell’oggetto. Niente può sfuggire al buco nero: tutto quanto giunge sull’orizzonte degli eventi viene risucchiato per non ricomparire mai più. In realtà da tempo, grazie sempre al lavoro di Hawking, si è stabilito con un certo consenso nel mondo accademico che parte dell’energia assorbita da un buco nero potrebbe “evaporare” in quella che si chiama non a caso radiazione Hawking . Ma la vera questione riguarda la conservazione dell’informazione sulla materia che venga attirata in un buco nero.

Secondo la teoria della relatività generale di Einstein, una volta raggiunto l’orizzonte degli eventi la materia si troverebbe in una distorsione dello spazio-tempo tale per la quale non dovrebbe essere percepita alcuna variazione nello stato mentre inizia la caduta verso la singolarità. Joseph Polchinski dell’Istituto Kavli, assieme ad altri colleghi, ha però elaborato dei calcoli seguendo le leggi della meccanica quantistica che dimostrerebbero invece come l’orizzonte degli eventi sia un punto dello spazio-tempo dalle condizioni estreme, che di fatto cuocerebbe (da qui la definizione di firewall) la materia catturata distruggendo per sempre l’informazione. Hawking ha provato a elaborare, in modo teorico e speculativo per ora, una terza strada che possa mettere d’accordo tutti , e lo ha fatto sulla base della sua visione dell’intero campo di studi a cui ha dedicato la sua vita.

Hawking si è spinto fino a rivedere in modo drastico la sua stessa teoria sui buchi neri: non esiste un vero e proprio orizzonte degli eventi, secondo il paper pubblicato la scorsa settimana, bensì solo un “orizzonte degli eventi apparente” lungo cui ad esempio la luce stazionerebbe fintanto che perdura l’attrazione sufficiente da parte della singolarità. In una interpretazione estrema, la singolarità potrebbe addirittura non esistere e l’orizzonte apparente potrebbe anche tendere a dissolversi rilasciando tutto quanto fino a quel punto era trattenuto : la chiave per Hawking è che l’informazione sarebbe mantenuta, sebbene pesantemente alterata, di fatto aprendo la porta all’idea che qualsiasi cosa finisca all’interno di un buco nero possa prima o poi uscirne. In che stato, da qui la battuta sulle previsioni del tempo, non è possibile stabilirlo.

“L’assenza di un orizzonte degli eventi significa che non ci sono buchi neri – nel senso di strutture dalle quali la luce non possa sfuggire in eterno. Ci sono tuttavia orizzonti degli eventi apparenti che persistono per un certo periodo di tempo. Questo implica che i buchi neri dovrebbero essere ridefiniti come confini di stati metastabili del campo gravitazionale”. Il problema è che queste parole , che impongono a tutto il mondo scientifico una profonda riflessione sugli assunti fin qui dati quasi per assodati, non possono essere confermate o confutate direttamente: un buco nero per definizione non è un oggetto visibile che possa essere studiato, pertanto occorre come ha fatto Hawking tentare di dare un senso ai dati sperimentali e teorici di cui si dispone . Un’operazione complessa non priva di rischi (scientifici), e che richiede tempo e va affinandosi ogni qual volta l’uomo effettua una scoperta nuova sulle caratteristiche dell’Universo.

L’idea di Hawking è destinata a riaccendere il dibattito, e imporrà anche una revisione del metodo con cui si tenta di armonizzare le varie teorie che definiscono le forze (gravitazionale, elettromagnetica ecc). Di sicuro cambierà anche il modo in cui la gente comune intende un buco nero: battute su oggetti misteriosi capaci di dare forma allo spazio (al centro della nostra galassia, la Via Lattea, si suppone ci sia proprio una singolarità) dovranno da oggi in poi lasciare il terreno ai più miti e meno duraturi “buchi grigi”.

Luca Annunziata

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Pubblicato il 27 gen 2014
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