Contrappunti/ Considerazioni sanremesi

Contrappunti/ Considerazioni sanremesi

di M. Mantellini - Della gara importa poco, quel che conta è valutare le mosse di mamma RAI rispetto al Web. L'esempio perfetto di come (male) interpretano i media italiani l'avvento del digitale
di M. Mantellini - Della gara importa poco, quel che conta è valutare le mosse di mamma RAI rispetto al Web. L'esempio perfetto di come (male) interpretano i media italiani l'avvento del digitale

Quest’anno il DopoFestival di Sanremo è andato in onda su Internet, in streaming. Per un programma popolare come la kermesse della canzone, è come dire che non è andato in onda. Esiste ovviamente la scusa dell’adeguamento tecnologico: i tempi sono cambiati, adattarsi al nuovo è un imperativo irrinunciabile e blablabla , anche se francamente non è facile crederci. Più probabilmente abbiamo risparmiato i soldi di una trasmissione notturna e, per non dire che l’abbiamo abolita, diciamo che l’abbiamo trasferita sul Web.

Qualcuno a questo punto potrebbe sostenere – con molte ragioni – che i critici non sono mai contenti: che se il rito musical-popolare va in onda in TV è il simbolo di un mondo vecchio e superato che non ci rappresenta più e che se quello stesso rito viene in qualche maniera ripensato per il Web ciò avviene solo per subentranti ragioni economiche.

In realtà le cose non stanno proprio in questi termini. Non si sostituisce la TV con la TV sul Web, si tratta di animali del tutto differenti con linguaggi, regole e finalità diverse. Il Web può completare l’offerta televisiva in maniera significativa (per esempio la Rai quest’anno ha finalmente messo in Rete in tempi molto brevi i video delle canzoni eseguite a Sanremo, di fatto azzerando il lavoro di copia incolla che molti telespettatori effettuavano su Youtube negli anni scorsi) ma non ne è una versione moderna, tanto meno una versione cheap da proporre al pubblico quando le cose vanno male (altro esempio simile la retorica un po’ fasulla di qualche anno fa di Michele Santoro con il suo programma migrato sul Web per mancanza di altre alternative).

L’innovazione tecnologica della TV la si fa intanto adeguando la TV (per esempio la RAI è in grave ritardo rispetto a molti altri Paesi europei per la copertura in HD del segnale), investendo soldi per svecchiare i palinsesti (eternamente bloccati dalla necessità di soddisfare un pubblico anziano e a bassa scolarizzazione) e, soprattutto, inventandosi delle cose che aiutino il Paese a crescere (anche quando la logica che le supporta è differente da quella del servizio pubblico). Inutile citare l’abusatissimo esempio del Maestro Manzi, come ha fatto Fazio durante Sanremo, se i contenuti che la televisione produce sono, da anni, adeguati alla stagnazione del Paese e non alla sua rinascita. La TV italiana oggi racconta con grande esattezza il Paese com’è ed anche, per paradosso, la sua scarsa voglia di immaginarsi fuori da un simile pantano.

La reputazione della TV ai tempi del Web non la si fa poi ironizzando sulle dinamiche di rete come accade costantemente da anni un po’ in tutti i programmi TV. Rappresentazione questa di una specie di complesso di superiorità che gli uomini e le donne della TV associano alla loro grande visibilità. Da un certo punto di vista hanno ragione, da un altro è chiaro che hanno completamente torto. Da un lato è evidente già da un po’ che il Web non sostituirà la TV, lo si diceva con qualche avventatezza fino a qualche anno fa, dall’altro è pacifico che il modello di riferimento della TV italiana attuale, mi riferisco in questo caso a quella pubblica, è dentro un cortocircuito che sembra non condurla da nessuna parte.

Visto che l’asino si lega dove vuole il padrone, è abbastanza evidente che qualsiasi ragionamento che attiene all’innovazione tecnologica, di cui questo Paese ha un gran bisogno, dovrà in qualche misura passare anche dalla TV. Prima ancora che dall’immaginare nuovi Maestri Manzi che sdoganano il digitale (una proposta che fra gli addetti ai lavori gira da tempo) attraverso la presa di coscienza da parte di tutti di una subalternità culturale che la TV oggi ha, nei fatti ed anche per colpa sua, nei confronti della Rete.

Ebbene sì. Per anni abbiamo immaginato – per convenienza o per assenza di alternative – che i numeri dell’Auditel fossero la rappresentazione esatta di quello che pensa il Paese. Ora il problema nemmeno si pone più. Una parte rilevante del Paese è online ed è – da un certo punto di vista – l’Auditel di sé stesso. Possiamo far finta di niente e continuare a ripetere la parola “social” con il lieve raccapriccio schifato di certi conduttori TV molto amati e molto venerati. I medesimi personaggi che, ogni giorno di più, assomigliano a certi giapponesi che dopo aver percorso migliaia di chilometri guardano la Torre di Pisa solo attraverso l’obiettivo della loro reflex.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 24 feb 2014
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