Chi conosce le logiche Internet degli industriali dei contenuti non si sarà stupito più di tanto. Nel giro di poche settimane dalla sua entrata in vigore il Regolamento Agcom sul diritto d’autore si è trasformato da meccanismo di tutela degli interessi legittimi degli aventi diritto in chiaro strumento censorio, che agisce indiscriminatamente su migliaia di contenuti che nulla hanno a che fare con gli interessi di chi ha materialmente chiesto all’Autorità di vedere tutelata una opera di cui è legittimo detentore dei diritti.
La maggioranza dei provvedimenti di rimozione emessi da Agcom – come scrive Guido Scorza sul suo blog su Il Fatto Quotidiano – non riguardano la rimozione del brano musicale X o del film Y che il detentore dei diritti ha trovato su Internet dove un pirata lo aveva caricato illegalmente, ma si riducono, più semplicemente, in nome di questo singolo diritto violato, a blacklistare interi siti web, in genere tracker torrent, nei quali quel singolo file era linkato.
Si tratta di un meccanismo di coercizione interessante per due ragioni. La prima perché si intesta con leggerezza ed arroganza la definizione di siti pirata e con grande comodità sostituisce la tutela di un singolo diritto con quella di una intera categoria. La seconda perché spiana il campo da ogni fastidiosa diatriba intellettuale su cosa sia o cosa non sia illegale affidando una simile complicata valutazione alla scure del padrone del copyright il quale, avendo a cuore i propri sudati diritti, non si preoccuperà troppo di disboscare qualsiasi altra cosa intorno.
In particolare questo secondo punto è fondamentale. Con il suo regolamento Agcom ha tolto ai tribunali la giurisdizione culturale sull’illecito dei contenuti di Rete. Seguendo le pressanti indicazioni degli industriali, ripetute per un decennio, Agcom ha infine saltato il filtro previsto dalla legge per cui spetta ad un organismo che tutela l’interesse dei cittadini scegliere di volta in volta quali siano metodi, gradualità e conseguenze di un illecito penale.
Esultano quindi gli estremisti del copyright ai quali finalmente è riuscito il giochino da tanto tempo sognato. Oggi bastano loro un paio di scartoffie digitali ed una generica richiesta di tutela di un proprio contenuto per allontanare dalla visione degli italiani decine di interi siti web attraverso un provvedimento coercitivo che interessa ovviamente anche i fornitori di connettività, ai quali eventuali disobbedienze costeranno salatissime multe.
Tutto questo per saltare i tempi biblici e le paturnie di una magistratura largamente inefficiente e spesso inadeguata, ma anche per sancire una sorta di imbarazzante muro contro muro. Un noi e loro che si basa sulla constatazione secondo la quale esistono i miei diritti e nient’altro attorno. In nome della loro tutela qualsiasi scelta può essere accettabile, meglio se presa direttamente da me. Una legge del taglione digitale inaccettabile in una democrazia compiuta.
Tutto il resto sono sciocchezze per chi ha voglia di crederci. La cortina fumogena di una Autorità dello Stato che ha scelto di votarsi ai desiderata dell’industria mettendo in secondissimo piano i diritti dei cittadini, che ha raccontato al mondo una favoletta morale sul bilanciamento fra offerta e coercizione fra grandi e piccoli pirati.
Nulla di tutto questo è rilevante. Conta solo la volontà, mille volte ripetuta da parte degli industriali dei contenuti, di occuparsi direttamente della tutela dei propri diritti violati in Rete. Vogliono farsi giustizia da soli visto che – dicono – nessuno ascolta i loro peana. Per ora non gli è riuscito di farlo direttamente. Con il Regolamento Agcom potranno però farlo con maggior facilità, attraverso un intermediario debole ed imbarazzante. Imbarazzante specialmente per noi cittadini.
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