Quali sono stati gli effetti del Datagate sul rapporto tra utenti statunitensi e privacy? Stando a una nuova indagine del Pew Research Center , i netizen americani non si fidano più di nessuno, quando si tratta di dati e comunicazioni personali online. Paradossalmente, però, la possibilità di usare i servizi di rete gratis val bene la svendita di se stessi.
L’indagine, basata sull’intervista online di 800 cittadini americani in età adulta, rivelerebbe che la questione dello spionaggio e del tecnocontrollo a opera della NSA è ben conosciuta dalla popolazione (87 per cento), e che 8 persone su 10 sono preoccupate di come stanno le cose.
Nel 91 per cento dei casi la sensazione dominante è di perdita del controllo sulla privacy e sul modo in cui le informazioni personali vengono raccolte e usate online dalle aziende private, unita alla scarsa fiducia nella possibilità di eliminare informazioni inaccurate presenti in rete (88 per cento) e alla pressoché totale certezza che il governo abbia accesso ai dati condivisi sui social network (70 per cento).
Come se ne esce? A quanto pare c’è via di uscita: paradossalmente, una buona parte di cittadini statunitensi (più del 50 per cento) è ben contenta di condividere la propria identità digitale con le aziende che operano i servizi online se tali servizi sonno accessibili e usabili senza spendere un centesimo.
E Google, una delle più attive nel rastrellamento delle ID e delle informazioni online, non può che rallegrarsene, pur invocando l’estensione Privacy Act americano anche ai cittadini europei.
I netizen del Vecchio Continente dovrebbero avere gli stessi diritti di quelli nordamericani quando si tratta di verificare come le autorità (USA) gestiscono i loro dati, sostiene Mountain View , e poco importa a questo punto che gli investimenti nella sola California su dispositivi e strumentazione di spionaggio e tecnocontrollo in forze alle autorità e alle polizie locali siano arrivati a 65 milioni di dollari negli ultimi 10 anni.
Alfonso Maruccia