I governi approfittano sempre di più delle tecnologie per sorvegliare e reprimere i propri cittadini, ma se la Rete e il Web fossero annoverati fra i diritti umani e il rispetto dei diritti umani valesse come dovrebbe valere nel mondo analogico, potrebbe essere un imprescindibile strumento di sviluppo e innovazione.
A metterlo in luce sono i dati raccolti in 86 paesi del mondo dal Web Index 2014-2015 , lo studio divulgato dalla World Wide Web Foundation con lo scopo di mostrare i contributi del World Wide Web al progresso sociale, economico e politico del Pianeta.
Secondo quanto si legge nello studio, a conferma quanto riferito da statistiche precedenti , a grandi linee 4,3 miliardi di persone, il 60 per cento della popolazione mondiale, non può andare online e la metà di quelli che hanno accesso alla rete vivono in paesi con molte limitazioni ai diritti online , che investono privacy e libertà di espressione.
A preoccupare osservatori e studiosi di settore è che, nonostante proteste e indignazione, aumenta sia il numero di paesi che prevedono forme più o meno invasive di intercettazioni di massa (passati dal 63 all’84 per cento) e quello di coloro che sono soggetti a forme di censura “moderate o accese”, cresciuto nel 2013 di sei punti percentuali raggiungendo il 38 per cento. Gli indicatori relativi a libertà e apertura della Rete mostrano un mondo che sembra rispecchiare le grandi divisioni che spaccano il Pianeta anche sul fronte economico , politico e sociale .
Con l’occasione il padre del Web Tim Berners-Lee è tornato a parlare del bisogno di riconoscere Internet come diritto umano . D’altra parte in un mondo sempre più caratterizzato da inuguaglianze ed ingiustizie, secondo Sir Berners-Lee, il Web ha un enorme potenziale democratico : uno strumento capace di creare uguaglianza e giustizia solo se leghiamo ad esso “i diritti alla privacy, la libertà di espressione, la possibilità di accesso ed i principi della net neutrality”.
D’altronde lo stesso Web Index lega la forte protezione delle libertà civili ad un efficace sfruttamento dei benefici economici e sociali generati da Web: in prima linea da questo punto di vista vi sono Danimarca, Finlandia e Norvegia. Al contrario in fondo alla classifica vi sono Etiopia, Myanmar, Yemen e numerosi paesi africani.
Per quanto riguarda l’Europa, fanalini di coda sono Grecia (30esimo posto) e Italia (29esimo) che riescono a far connettere solo poco più del 60 per cento della propria popolazione: il nostro paese si trova a raggiungere un punteggio da metà classifica (70 su 100) anche prendendo in considerazione l’indice di libertà ed apertura, calcolato sulle misure adottate a tutela della net neutrality, la libertà di espressione online, le infrastrutture e le condizioni delle telecomunicazioni nonché quegli strumenti a tutela della privacy degli utenti.
Claudio Tamburrino